I racconti di Maria Laura

Il primo articolo giornalistico a firma di Maria Laura Annibali

Pubblicato sulla testata giornalistica online Power & Gender

Storia di amplificatori e chitarre elettriche

Roma 24 giugno 2020 – Il periodo che ci siamo lasciate alle spalle ha impedito in molti casi gli incontri ma ha favorito in altri casi la riflessione, i ricordi, la scrittura. È ciò che Maria Laura Annibali ci ha inviato, il racconto di un fatto poco conosciuto, legato alle chitarre. Ahh… se Jimy Hendrix sapesse! È stato uno dei maggiori inventori italiani Cesare Di Giuliomaria; vissuto nella prima metà del ‘900, attualmente un perfetto sconosciuto per molti, in realtà è stato un genio creativo nonché maestro orafo ed inventore.

«I più grandi musicisti, cantanti e chitarristi del nostro tempo, del calibro di Santana, B.B. King, Jimy Hendrix e altri ancora, hanno usato a dismisura con il proprio talento una delle sue invenzioni dimenticate: l’amplificatore elettrico per strumenti a corda, assegnata con tanto di documento ufficiale da parte del Ministero della Economia Nazionale in data 21 settembre 1931.

Di Giuliomaria fra l’altro, inventò anche la famosissima chitarra elettrica, infatti da bozze ritrovate nei suoi archivi si evince in maniera lampante che i primi passi almeno di tale invenzione furono di suo pugno e ingegno. E invece tale invenzione è stata assegnata ad un noto uomo d’affari americano.

Ma come sono andate le cose?

Cesare Di Giuliomaria nato a Roma, dove ha vissuto per molti anni era conosciuto come stimato orafo creatore di meravigliosi gioielli ambiti dalle migliori nobildonne della capitale, quindi godeva di uno status sociale da medio alto borghese, ma esprimeva il suo talento artistico e creativo anche come abile chitarrista, tantoché si esibì in vari concerti a teatro Argentina e al teatro Costanzo.

Aveva però un grande sogno: quello di aprire dei negozi di gioielleria negli Stati Uniti e precisamente a New York dove precedentemente emigrarono alcuni suoi cugini, ma come quasi ogni genio creativo, mancava del piglio affaristico e materiale necessario e veniva invece spesso sospinto dalla pulsione dei sentimenti.

L’ambizione di trasferirsi negli USA era anche determinata dal fatto che egli voleva vendere il brevetto della chitarra elettrica a qualche magnate americano che ne potesse dar così un frutto concreto e definitivo anche per poter finalmente vivere una vita che per lui potesse essere ancor più gloriosa e rispettabile di quanto già lo fosse.

Sia pur già sposato e con tre figli a carico, una volta capitata la prima occasione utile, in quanto ingaggiato dall’allora notissima cantante brasiliana Carmen Miranda che lo volle con sé in una tournée negli Stati Uniti come primo chitarrista, s’imbarcò alla ricerca della fortuna tanto bramata.

Prima di partire, pur di assicurarsi il benessere dei propri figli comunque già abbastanza grandi, si premunì di farli sposare e di dar loro un futuro assicurato lasciandogli in eredità anche i negozi di gioielleria che aveva aperto a Roma.

Partì così per l’America in tournée con la Miranda, portando con sé tutti i gioielli e l’oro di sua proprietà che aveva accumulato negli anni di lavoro nei suoi negozi.

Negli Stati Uniti, non si sa bene in quale città esattamente, conobbe una donna di cui si innamorò perdutamente e dalla quale ebbe un figlio da egli legalmente riconosciuto.

Ma nel tour delle Americhe dietro alla famosa cantante brasiliana, contrasse – sembra proprio in Brasile – una malattia tropicale: la malaria.

Quindi sia pur unito ad una donna tanto amata e ad un figlio adorato, ormai stanco e stremato dalla malattia che gli corrose anche il fegato portandolo ad avere l’epatite virale, Di Giuliomaria si fece letteralmente depredare dei preziosi gioielli e dell’oro che aveva portato con sé senza per altro riuscire a realizzare il sogno di aprire le gioiellerie a New York.

Nel frattempo, passarono dieci lunghi anni in terra straniera, quando scoppiò la seconda guerra mondiale e il geniale inventore creativo, professandosi italiano con volontà di rientrare in patria, riuscì in qualche modo ad avere il nulla osta degli Stati Uniti per rientrare nella sua terra natìa.

Sembra che al momento di doversi imbarcare, il geniale inventore, non possedesse nemmeno un centesimo e sia pur chiedendo aiuto ai cugini di New York, non riuscì ad ottenere la somma necessaria per pagarsi il viaggio. A quel punto, si suppone che sopravvenne lo scippo del brevetto della chitarra elettrica da parte dell’affarista americano, il quale con ogni probabilità pagò a Di Giuliomaria pochi dollari per poterne entrare in possesso. Soldi che al genio italiano occorrevano per imbarcarsi sulla nave.

Tornato in Italia, visti i suoi trascorsi negli Stati Uniti, la moglie non volle più saperne di lui e decise di disconoscerlo completamente a vita, disdegnandolo anche dopo la morte.

Così, impoverito, stanco, malato ed affamato, trovò rifugio presso casa di uno dei suoi figli che lo accolse con molte remore e non senza fargli pesare la condizione.

Sia probabilmente a causa della malattia che per le privazioni che dovette subire e i talenti del suo genio mai riconosciuti, il dimenticato inventore italiano divenne estremamente egocentrico ed egoista e tacciato come un mezzo farabutto nonché allontanato da amici e conoscenti.

Visse così negli ultimi anni della sua esistenza da narciso egocentrico e come tale morì nel 1944 a causa della epatite virale e pare anche per causa di una indigestione poiché acquistò una scatola di contrabbando piena di cibo e prelibatezze e la ingurgitò tutta da solo chiuso nella propria camera da letto.

Al di là del personaggio che traspare dai racconti degli odierni posteri, di Cesare Di Giuliomaria, non si può non tener conto di tutte le implicazioni emozionali e pratiche dell’epoca in cui era vissuto, nonché delle carenze affettive, famigliari e alimentari che egli dovette patire specie quando visse negli Stati Uniti gli ultimi tempi.

Non si può nemmeno però dimenticare la frustrazione e il profondo dolore coscienziale, psicologico ed emotivo che il geniale inventore portò dento di sé per tutta la vita a causa di invenzioni avanguardistiche e superiori alla norma del suo tempo che non gli furono mai riconosciute né economicamente e né socialmente. Tanto è vero che il suo brevetto di chitarra elettrica pare si stato estorto proprio dall’affarista americano – probabilmente lo stesso personaggio al quale fu attribuita l’invenzione – per una manciata di spiccioli che gli occorrevano per tornare in Italia con la nave.

Diviene ovvio il comportamento della persona che subisce dei traumi di questo tipo e la quale cerca di esorcizzarli attraverso una specie strano di amor proprio molto malsano.

Morì così, dimenticato e a tratti disdegnato da tutti, un genio eccezionale del ‘900 italiano al quale non solo non vennero attribuiti tutti i meriti dovuti, ma vennero anche scippate le ricchezze da persone senza scrupoli e al quale venne strappata di mano per una misera mancia, l’invenzione musicale del secolo. Restando attribuita solo l’invenzione dell’amplificatore elettrico di cui però non vi è traccia negli annali di internet odierno.»

A cura di
Maria Laura Annibali
con la partecipazione di
Carla Liberatore