10 storiche attiviste lesbiche

Maria Laura tra di esse.

In occasione della Giornata Internazionale della Visibilità Lesbica, il 26 aprile, il sito di informazione LGBTIQ+ Gay.it, ha pubblicato la lista di 10 storiche attiviste lesbiche che hanno fatto la storia della comunità.

Dieci donne queer che in Italia hanno lottato con il loro attivismo, e la cui storia è bene ricordare.

Il movimento lesbico in Italia è partito relativamente più tardi rispetto ad altri Paesi come gli Stati Uniti, ma non per questo è stato meno grandioso, meno importante e meno di successo. L’attivismo in Italia nasce negli anni Settanta, più precisamente nel 1971, quando Mariasilvia Spolato fondò il Fronte di Liberazione Omosessuale (FLO), movimento poi confluito nel Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (F.U.O.R.I.) e insieme ad Angelo Pezzana fondò la rivista Fuori! .

L’articolo di Ileana Dugato

Maria Laura Annibali appende il calendario dedicato alle famiglie non convenzionali

È successo nell’agenzia viaggi romana Alice e la Luna.
http://latribunadiroma.it/maria-laura-annibali-appende-il-calendario-dedicato-alle-famiglie-non-convenzionali/.

Maria Laura Annibali, presidente Di’Gay Project, si presenta in agenzia con la sciarpa colorata e uno dei suoi inconfondibili cappelli. In mano un calendario molto particolare, un calendario che sprigiona il calore del focolaio umano, esprimendolo tramite la dimensione della famiglia non tradizionale.

[Si tratta del calendario Codacons 2022 con le foto di Tiziana Luxardo - NdWm].

È un regalo per Massimo Bellocchio, titolare dell’agenzia, che da anni espone una bandierina LGBT sulla vetrina e ci accoglie dicendo «Me l’ha data il tour operator è lui che è specializzato nei viaggi e conosce le destinazioni che meglio riescono a ospitare i clienti» spiega inoltre che non tutte le strutture sono uguali e che non basta avere una cognizione generale della destinazione, serve anche una conoscenza della singola struttura della sua capacità «di far sentire i clienti coccolati e a loro agio», in fondo ospitare non è soltanto fornire pasti, alloggi e spiagge.

Maria Laura Annibali presso agenzia Alice e la Luna

Maria Laura, ha personalizzato il calendario con una dedica all’agenzia raccomandandosi che lo avrebbe voluto trovare appeso al muro, Massimo aveva già il martello e il chiodo pronti, e li abbiamo colti in uno scatto molto simbolico ed evocativo.

Il riconoscimento dell’affetto e simpatia manifestato da una comunità che non sempre è trattata nel migliore dei modi apre la porta a una speranza, quella di avere un mondo in cui cadono molte discriminazioni e in cui si pensa maggiormente all’umanità di ogni singolo individuo senza permettere alle differenze di diventare fonte di contrasti e incomprensioni tra esseri umani.

Sui maxi led Urban Vision / 2

IL PUNTO DI VISTA DI ANTONELLA GIORDANO. «E’ un auspicio convenzionale quello che campeggia sui maxi led di Roma e Milano.»

https://www.wordnews.it/gli-auguri-sui-maxi-led-delle-grandi-citta-la-differenza-e-contro-la-violenza

di Antonella Giordano

Gli auguri sui maxi led delle grandi città: la differenza è contro la violenza Roma, via del Corso

Lascio che siate voi a giudicare. L’ingresso del nuovo anno si presta alle stucchevoli mieline che notoriamente non temono rivali. Il brutto appartiene al passato e dall’ora zero del primo dell’anno scatta il delirio delle cifre espressive. Complice la bacchica effervescenza, ovunque è uno sciorinare di trionfalismi. Considerando che il ricalco cronologico spaziale è imperante è legittimo chiedersi quanto corrisponda ad un autentico anelito del cuore. Ciò vale nei rapporti familiari e in quelli sociali e raggiunge iperboli in quelli imposti da vincoli dove il re nudo lo si lascia avanzare,  salvo poi schernirlo “nelle sedi competenti”.  E voglio pensare che la  magnifica pellicola di Mario Monicelli, del 1992 ma mostruosamente attuale, non a caso abbia dato voce agli aspidi della human generation proprio in occasione delle celebrazioni natalizie

Buon anno di pace, serenità, salute. Positività a gogò salvo l’ultima per la quale la positività è una iattura. Quelli che consuetudinariamente ammortizzano il “deficit buono” si limitano ad augurare pace e amore. 
E qui mi si consenta una riflessione. Un bambino pronuncia la parola amore con il sorriso e riesce a sorridere anche se ciò che gli fa da cornice non può proprio definirsi come la reggia di Alì Babà. Basta rassegnare lo snodo generazionale perché “pace e amore” sembrino evocare miraggi, schegge di luce lontana che mai e poi mai contamineranno l’abulia che segna lo sguardo, le ferite del corpo e dell’anima.

Perché questa riflessione? Perché tra la messaggistica pulvicolare dilagante mi sono imbattuta nel più bell’augurio che potessi immaginare: La differenza è contro la violenza on air sui maxi schermi Urban Vision di Milano e Roma per tutto il periodo delle festività. 

Rimarca quello diffuso il 25 novembre scorso con una nota a mio avviso più decisa: alla violenza si oppone la differenza. Riconosco tra le immagini Maria Laura Annibali e sua moglie Lidia strette in un tenero abbraccio per ricordare al mondo cosa significa amore. Per ricordare quanto sono incredibilmente speciali le persone originali! Quelle  persone che si rifiutano di camminare lungo percorsi predefiniti. Le persone che si mettono in gioco con i propri talenti malgrado la stagione anagrafica. Le persone per le quali la diversità è ricchezza e non problema. 

Sono tanto belle queste persone che hanno la capacità di mettere in crisi i dogmi, che riescono a penetrare il senso profondo dell’esistenza umana per donare al mondo il meglio di sé, che hanno sempre una storia straordinaria da raccontare. 
Persone come Maria Laura Annibali e sua moglie che ricordano, con il loro modello di vita, cosa sono i diritti umani. Sì, i tanto sbandierati diritti umani di cui pochissimi sanno quanti e quali siano. I più sensibili riescono a darne una definizione ma se gli si chiedesse di fornirne un elenco quasi sicuramente dimenticherebbero che vi rientrano quelli al rispetto per le diversità. Quelli comunemente definiti di terza generazione e non per farne una categoria residuale bensì cronologica. Quelli riguardanti la collettività, i diritti che proteggono le categorie vulnerabili, come ad esempio le donne, le persone LGBTQI+, i bambini, i rifugiati ed i migranti, oltre al diritto alla pace, allo sviluppo, all’assistenza umanitaria ed alla protezione dell’ambiente.

La peculiarità di questi diritti di terza generazione sta nel fatto che si tratta di  diritti che prevedono obblighi di non ingerenza da parte dello Stato, come quelli di prima generazione, ma anche un intervento attivo da parte dello Stato stesso tramite legislazioni specifiche al fine di garantire il godimento di uguali diritti a tutti i cittadini. Malgrado ciò nella legislazione nostrana non sembrano figurare tra le priorità. 
Ma questa è un’altra storia.

Nel messaggio di auguri diffuso da Urban Vision io voglio leggere che nessuno ha il diritto di sottomettere l’altro a sé e alle proprie idee. Ognuno dovrebbe rispettare la diversità e vedervi sempre un valore, un mondo da scoprire e non da conquistare. Il messaggio è evidente. Meno evidente e comprensibile è la sua “gestione” per il fine che si prefigge di veicolare. Cerco di spiegarmi meglio. 
Non ho trovato sul sito della Urban Vision un comunicato che supportasse valorialmente ciò che scorre lungo i video. E questa è la nota deludente, se non parossistica

Gli auguri che scorrono svelando il flusso di immagini e scene familiari credevo volessero raccontare l’amore nella sua forma più estesa ed inclusiva possibile, incentrandosi nelle molteplici forme che assume. Maria Laura Annibali che ho riconosciuto io, come i molti che la conoscono, dopo una vita spesa al servizio dello Stato, in una stagione in cui le energie e le forze sarebbero legittimate  a fruire della gioia della tranquillità, avrebbe meritato una diversa attenzione. 

Dopo la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne una campagna di comunicazione finalizzata a contrastare la violenza in tutte le sue forme, compresa quella causata dalla disparità di genere (geneder gap, pay gap, inclusivity gap ed altre ancora) attraverso l’immagine avrebbe potuto essere il miglior augurio di buone feste se condotta con stile. 
Lo stile è un concetto di difficile definizione. Le sole affermazioni condivisibili sono che stile e linguaggio qualificano lasciando un segno nel tempo.

Provo molta tristezza nel dover troppe volte riconoscere che lo stile nella comunicazione si traduce spesso in una mostruosa mancanza stile.

Maria Laura e il ddl Zan contro l’omofobia

Sempre in prima linea!

Cosi Insider Trend.it

Tutto rinviato alla data per la quale è stato fissato il termine per la presentazione degli emendamenti. Secondo Maria Laura Annibali (storica esponente galassia LGBTQI+), si tratta di «una legge giusta per rimuovere tutte le cause di discriminazione, in particolare anche quelle contro i disabili, delle quali non parla mai nessuno». Intanto Salvini rimarca la sua immagine filoclericale nominando la Baldassarre responsabile del Dipartimento famiglia del suo partito.

Con Melissa Ianniello su The Guardian

Melissa Ianniello, con il progetto fotografico Wish it Was a Coming Out, ha avuto l’attenzione del The Guardian che ha pubblicato una selezione di foto con relative didascalie.

Tra le foto selezionate anche l’ormai nota foto di Maria Laura e Lidia

La foto pubblicata di Maria Laura e Lidia con la didascalia.

Al reportage de The Guardian ha fatto eco il quotidiano La Repubblica nelle pagine della cronaca locale di Bologna (città dove vive Melissa) con un ampio servizio di Caterina Giusberti sulla fotografa e i suoi progetti, pubblicato nell’edizione in edicola il 26 agosto 2020.

Per leggere la pagina scarica il pdf qui.

Il canto dai balconi

Articolo di Maria Laura sull’esperienza della quarantena.

Roma Talenti: “Il canto dai balconi” ha sconfitto la solitudine e gli stereotipi per una convivenza civile

Roma Talenti: “Il canto dai balconi” ha sconfitto la solitudine e gli stereotipi per una convivenza civile
Terminata la quarantena, ma l’amicizia continua

L’articolo pubblicato sul sito: fai.informazione.it

Considerata la mia età, 75 anni, e alcune problematiche di salute che mi rendono un soggetto a rischio, Ho passato l’intera quarantena e anche più in casa. Non potendo uscire, non potevamo vedere gli amici e mia moglie Lidia non poteva vedere sua figlia. È stato un periodo molto triste anche per la mia battaglia politica, essendo la presidente dell’associazione romana “Di’Gay project”, che si occupa dei diritti delle persone LGBT.

 Giugno è il mese del Pride e quest’anno non si è potuto svolgere! Inoltre la mia associazione, che nel suo piccolo organizza tanti eventi culturali, lezioni di yoga e di teatro gratuiti, si è fermata del tutto. Anche il mio docu-film L’altra altra metà del cielo. Donne, che racconta la realtà delle relazioni tra lesbiche,  non è stato possibile proiettarlo in nessun festival (sono riuscita a presentarlo alla Casa internazionale delle donne di Roma e al Festival del cinema LGBT di Napoli.

In ogni modo, nonostante tutto, abbiamo creato una situazione incredibile nel nostro condominio e in tutti quelli attorno nel quartiere Talenti di Roma dove abito. Abbiamo preso la questione “canto dai balconi “ seriamente e ogni pomeriggio, per tutta la quarantena, ci siamo trovati fuori dai terrazzi a cantare.

All’inizio della quarantena, partì l’iniziativa delle cantate e delle suonate dai balconi, i media la definirono flash mob, in quanto movimento spontaneo, convocato tramite i social in modo improvvisato a cui, soprattutto per i primi appuntamenti alle ore 18, furono dati significati diversi che andavano dal farsi coraggio reciprocamente all’esprimere solidarietà e vicinanza a chi veniva colpito dal virus o, ancora, a dimostrare apprezzamento e riconoscenza a chi si prodigava per gli altri nel far fronte all’emergenza sanitaria.

Però se si fosse trattato di un flash mob vero e proprio, avrebbe dovuto avere la caratteristica, non solo dell’improvvisazione sul nascere, ma anche quella della rapidità nello scomparire: la durata di un “flash” appunto. Nel nostro caso è nato come un flash mob, poi è evoluto diventando un appuntamento fisso che, pur mantenendo le motivazioni di partenza, sostegno e incoraggiamento nella solitudine dell’isolamento, partecipazione e affetto verso chi viveva quotidianamente faccia a faccia con una malattia tanto cattiva quanto subdola, in realtà si configurava come un esperimento di una nuova socialità.

A mia moglie Lidia e me, si è unito Mario, musicista (dell’appartamento sopra al mio) con la chitarra e l’impianto di amplificazione, la professoressa Sabrina con il violino, poi Marcella e Giuseppe, amici della mia associazione, di un palazzo di fronte, separati da una zona di verde, con loro un’infermiera Covid e Sara, che mi ha espresso la sua riconoscenza con parole toccanti.

C’era anche Anna (del piano sotto), Maria, del palazzo accanto, Franco e Viola, vicini di pianerottolo, Pia, Elisa di Torino, Doriana, avvocata, ecologista e attivista del III Municipio romano, Laura, con i suoi cagnolini che partecipavano al canto abbaiando, Palmira e Alessandro, che in occasione del compleanno di Lidia, ci hanno calato spumante e dolcetti dal balcone con una fune. Insieme a noi canterini c’era infine chi semplicemente si affacciava per ascoltare ed applaudire.

I nostri appuntamenti quotidiani hanno fatto crescere la nostra realtà di vicinato, l’amicizia che è sorta tra le nostre famiglie, comprendendo con questo termine tutte le tipologie sociali di convivenze: da quelle cosiddette “regolari”, a quelle di vedove, vedovi, single, a quella mia di famiglia lesbica, riconosciuta tale soltanto dal 2016, con la celebrazione dell’unione civile, ma di cui tutti sono a conoscenza e che tutti avevano accettato ancor prima che la legge delle unioni civili fosse approvata. Una “vicinanza”, quindi, che va oltre le differenze di credo religioso (ci sono cattolici, cristiani ortodossi, atei, agnostici, oppure io, che mi definisco “cristiana con ascendenza buddista”) o di simpatie politiche accomunate però dalla difesa dei principi di libertà e di democrazia, anche se non ci è mancata qualche contestazione al nostro riproporre “Bella ciao” come “sigla” delle nostre performances canore.

La prova che il flash mob dei canti dai balconi ha generato qualcosa di nuovo, che continua anche dopo la quarantena, sta nel fatto che le persone che hanno condiviso con me questa esperienza, hanno deciso di lasciare i balconi e di scendere per ritrovarsi negli spazi di socialità del quartiere, più motivati di prima, per condividere amicizia, solidarietà nell’accettazione delle differenze. Chissà, magari anche da questo punto di vista potremmo dire che “niente è più come prima”.

Non più tanti “flash” che illuminano per un attimo e poi scompaiono, ma un unico raggio di luce che rende più chiare le nostre esistenze personali e che, inevitabilmente, diventa un riferimento, un faro luminoso per tutto il vicinato.


Maria Laura Annibali

I racconti di Maria Laura

Il primo articolo giornalistico a firma di Maria Laura Annibali

Pubblicato sulla testata giornalistica online Power & Gender

Storia di amplificatori e chitarre elettriche

Roma 24 giugno 2020 – Il periodo che ci siamo lasciate alle spalle ha impedito in molti casi gli incontri ma ha favorito in altri casi la riflessione, i ricordi, la scrittura. È ciò che Maria Laura Annibali ci ha inviato, il racconto di un fatto poco conosciuto, legato alle chitarre. Ahh… se Jimy Hendrix sapesse! È stato uno dei maggiori inventori italiani Cesare Di Giuliomaria; vissuto nella prima metà del ‘900, attualmente un perfetto sconosciuto per molti, in realtà è stato un genio creativo nonché maestro orafo ed inventore.

«I più grandi musicisti, cantanti e chitarristi del nostro tempo, del calibro di Santana, B.B. King, Jimy Hendrix e altri ancora, hanno usato a dismisura con il proprio talento una delle sue invenzioni dimenticate: l’amplificatore elettrico per strumenti a corda, assegnata con tanto di documento ufficiale da parte del Ministero della Economia Nazionale in data 21 settembre 1931.

Di Giuliomaria fra l’altro, inventò anche la famosissima chitarra elettrica, infatti da bozze ritrovate nei suoi archivi si evince in maniera lampante che i primi passi almeno di tale invenzione furono di suo pugno e ingegno. E invece tale invenzione è stata assegnata ad un noto uomo d’affari americano.

Ma come sono andate le cose?

Cesare Di Giuliomaria nato a Roma, dove ha vissuto per molti anni era conosciuto come stimato orafo creatore di meravigliosi gioielli ambiti dalle migliori nobildonne della capitale, quindi godeva di uno status sociale da medio alto borghese, ma esprimeva il suo talento artistico e creativo anche come abile chitarrista, tantoché si esibì in vari concerti a teatro Argentina e al teatro Costanzo.

Aveva però un grande sogno: quello di aprire dei negozi di gioielleria negli Stati Uniti e precisamente a New York dove precedentemente emigrarono alcuni suoi cugini, ma come quasi ogni genio creativo, mancava del piglio affaristico e materiale necessario e veniva invece spesso sospinto dalla pulsione dei sentimenti.

L’ambizione di trasferirsi negli USA era anche determinata dal fatto che egli voleva vendere il brevetto della chitarra elettrica a qualche magnate americano che ne potesse dar così un frutto concreto e definitivo anche per poter finalmente vivere una vita che per lui potesse essere ancor più gloriosa e rispettabile di quanto già lo fosse.

Sia pur già sposato e con tre figli a carico, una volta capitata la prima occasione utile, in quanto ingaggiato dall’allora notissima cantante brasiliana Carmen Miranda che lo volle con sé in una tournée negli Stati Uniti come primo chitarrista, s’imbarcò alla ricerca della fortuna tanto bramata.

Prima di partire, pur di assicurarsi il benessere dei propri figli comunque già abbastanza grandi, si premunì di farli sposare e di dar loro un futuro assicurato lasciandogli in eredità anche i negozi di gioielleria che aveva aperto a Roma.

Partì così per l’America in tournée con la Miranda, portando con sé tutti i gioielli e l’oro di sua proprietà che aveva accumulato negli anni di lavoro nei suoi negozi.

Negli Stati Uniti, non si sa bene in quale città esattamente, conobbe una donna di cui si innamorò perdutamente e dalla quale ebbe un figlio da egli legalmente riconosciuto.

Ma nel tour delle Americhe dietro alla famosa cantante brasiliana, contrasse – sembra proprio in Brasile – una malattia tropicale: la malaria.

Quindi sia pur unito ad una donna tanto amata e ad un figlio adorato, ormai stanco e stremato dalla malattia che gli corrose anche il fegato portandolo ad avere l’epatite virale, Di Giuliomaria si fece letteralmente depredare dei preziosi gioielli e dell’oro che aveva portato con sé senza per altro riuscire a realizzare il sogno di aprire le gioiellerie a New York.

Nel frattempo, passarono dieci lunghi anni in terra straniera, quando scoppiò la seconda guerra mondiale e il geniale inventore creativo, professandosi italiano con volontà di rientrare in patria, riuscì in qualche modo ad avere il nulla osta degli Stati Uniti per rientrare nella sua terra natìa.

Sembra che al momento di doversi imbarcare, il geniale inventore, non possedesse nemmeno un centesimo e sia pur chiedendo aiuto ai cugini di New York, non riuscì ad ottenere la somma necessaria per pagarsi il viaggio. A quel punto, si suppone che sopravvenne lo scippo del brevetto della chitarra elettrica da parte dell’affarista americano, il quale con ogni probabilità pagò a Di Giuliomaria pochi dollari per poterne entrare in possesso. Soldi che al genio italiano occorrevano per imbarcarsi sulla nave.

Tornato in Italia, visti i suoi trascorsi negli Stati Uniti, la moglie non volle più saperne di lui e decise di disconoscerlo completamente a vita, disdegnandolo anche dopo la morte.

Così, impoverito, stanco, malato ed affamato, trovò rifugio presso casa di uno dei suoi figli che lo accolse con molte remore e non senza fargli pesare la condizione.

Sia probabilmente a causa della malattia che per le privazioni che dovette subire e i talenti del suo genio mai riconosciuti, il dimenticato inventore italiano divenne estremamente egocentrico ed egoista e tacciato come un mezzo farabutto nonché allontanato da amici e conoscenti.

Visse così negli ultimi anni della sua esistenza da narciso egocentrico e come tale morì nel 1944 a causa della epatite virale e pare anche per causa di una indigestione poiché acquistò una scatola di contrabbando piena di cibo e prelibatezze e la ingurgitò tutta da solo chiuso nella propria camera da letto.

Al di là del personaggio che traspare dai racconti degli odierni posteri, di Cesare Di Giuliomaria, non si può non tener conto di tutte le implicazioni emozionali e pratiche dell’epoca in cui era vissuto, nonché delle carenze affettive, famigliari e alimentari che egli dovette patire specie quando visse negli Stati Uniti gli ultimi tempi.

Non si può nemmeno però dimenticare la frustrazione e il profondo dolore coscienziale, psicologico ed emotivo che il geniale inventore portò dento di sé per tutta la vita a causa di invenzioni avanguardistiche e superiori alla norma del suo tempo che non gli furono mai riconosciute né economicamente e né socialmente. Tanto è vero che il suo brevetto di chitarra elettrica pare si stato estorto proprio dall’affarista americano – probabilmente lo stesso personaggio al quale fu attribuita l’invenzione – per una manciata di spiccioli che gli occorrevano per tornare in Italia con la nave.

Diviene ovvio il comportamento della persona che subisce dei traumi di questo tipo e la quale cerca di esorcizzarli attraverso una specie strano di amor proprio molto malsano.

Morì così, dimenticato e a tratti disdegnato da tutti, un genio eccezionale del ‘900 italiano al quale non solo non vennero attribuiti tutti i meriti dovuti, ma vennero anche scippate le ricchezze da persone senza scrupoli e al quale venne strappata di mano per una misera mancia, l’invenzione musicale del secolo. Restando attribuita solo l’invenzione dell’amplificatore elettrico di cui però non vi è traccia negli annali di internet odierno.»

A cura di
Maria Laura Annibali
con la partecipazione di
Carla Liberatore

In quarantena

Maria Laura Annibali: Per combattere la solitudine di questo periodo, appuntamento fuori ai balconi

su SenzaLinea.it – 26 aprile 2020

Maria Laura Annibali, presidente dell’Associazione DI’GAY PROJECT, autrice di tre docu-film – L’altra altra metà del cielo, L’altra altra metà del cielo…continua e L’altra altra metà del cielo. Donne – curatrice dei relativi saggi dagli stessi titoli, attivista ventennale del movimento Femminista e LGBTQ, iscritta a WikiPoesia, tra tante altre cose.

Maria Laura Annibali

Da quando siamo in quarantena, insieme a condòmini, vicini di casa amici, ma anche sconosciuti, ci ritroviamo, sui balconi due volte al giorno: una alle ore 12:00, per fare quattro chiacchiere, e una alle 17,30 per cantare motivi vari, tra cui delle mini cover inventate da mia moglie e dalla sottoscritta. La cosa particolare è che possiamo contare sull’accompagnamento musicale, nonché su microfono e casse acustiche, messi a disposizione dall’amico condòmino del piano di sopra, che suona e canta da professionista in pensione. Il risultato è che riusciamo a coinvolgere persone anche di altri palazzi, annullando le distanze, in alcuni casi, anche significative.

In verità questa nostra esperienza, che da flash-mob occasionale è diventata un appuntamento quotidiano, si inserisce nel contesto di un’altra particolarità, nata già da qualche tempo, della nostra realtà di vicinato, e cioè l’amicizia che è sorta tra le nostre famiglie, comprendendo con questo termine tutte le tipologie sociali di convivenze: da quelle cosiddette “regolari”, a quelle di vedove, vedovi, single, a quella mia di famiglia lesbica, riconosciuta tale soltanto dal 2016, con la celebrazione dell’unione civile, ma di cui tutti sono a conoscenza e che tutti avevano accettato ancor prima che la legge delle unioni civili fosse approvata.

Questa forma di “normalità” di rapporti umani l’abbiamo allargata anche a persone vicine per spazi, ma in realtà sconosciute, pensando che, in questo periodo tremendo, essa possa aiutare a fronteggiare una latente – ma neanche troppo – paura del domani.

Appuntamento sui balconi

Insomma, con la scusa del canto scaramantico, sto cercando di riportare all’attuale tempo del coronavirus, l’atmosfera di tempi lontani, quella che io ho vissuto, nel quartiere S. Eustachio, in cui sono nata 75 anni fa, dove ci scambiavamo il sale e l’olio e ci conoscevamo tutti.

Il passatempo sereno e leggero, non ci fa dimenticare la solidarietà verso i medici, paramedici, farmacisti, ecc…. e i parenti delle tante vittime, così che, spesso, per ringraziarli, prima delle divertenti esibizioni, ci raccogliamo in qualche minuto di silenzio.

Tutto ciò, cioè la nostra esperienza di quarantena viciniale, unita anche alla mia particolare esperienza di vita (come si evince dal mio sito web personale o usando i motori di ricerca), penso possa lanciare un messaggio positivo, improntato alla solidarietà, all’apertura verso gli altri e alla reciproca accettazione.

Per vincere la pandemia, facendoci contagiare dalla solidarietà.

Sulla prima del terzo docu-film a Roma

La notizia della prima presentazione pubblica di L’altra altra metà del cielo. Donne

Sul sito del Di’Gay Project – 11 novembre 2019

GayPost.it – 24 novembre 2019

Intervista per PaeseRoma.it – 28 novembre 2019

GayNews.it – 2 dicembre 2019
Con video intervista di Francesco Lepore, qui di seguito:

Maria Laura per PaeseRoma.it

Prima assoluta del docu-film alla Casa internazionale delle Donne

di Paolo Miki D’Agostini
per PaeseRoma.it

Il 28 Novembre 2019 ore 17:00 presso la Casa internazionale delle Donne,
sarà proiettata la prima del docu-film di Maura Laura Annibali,
“L’altra altra metà del cielo. Donne”, regista Filippo Soldi.

Maria Laura e la moglie Lidia Merlo

Maria Laura Annibali, 75 anni, è Presidente associazione dell’associazione Di’ Gay Project ed è coniugata con Lidia Merlo, 72 anni. Con questo film, terzo di una serie, fa luce su aspetti poco conosciuti della sessualità tra lesbiche.

Come mai questo titolo?
“Altra altra” perchè non parlo di donne etero, io parlo di donne che amano le donne

Chi è Filippo Soldi?
Filippo Soldi è un regista di grande abilità che ha vinto il Globo d’oro, nonostante il suo calibro ha partecipato gratuitamente alla realizzazione del film.

Di cosa parlano i suoi film?
Nei miei film si parla solo ed esclusivamente di lesbiche. Sono stata la prima film-maker del mondo a portare i documentari lesbo in carceri maschili e transgender.

Perchè ha scelto la Casa Internazionale delle Donne per presentare il film?
E’ un luogo a cui sono molto legata.

L'altra altra metà del cielo. Donne
L’altra altra metà del cielo. Donne

Qual è l’argomento del suo terzo film?
Ho intervistato uomini diventati donne che amano altre donne, in sostanza uomini diventate donne lesbiche.

E’ possibile che tali donne formino una coppia e si relazionino nella loro femminilità?
Non ne ho mai incontrate, però, poichè ci si innamora delle persone e non del loro sesso, è possibile che due transessuali, maschi alla nascita, diventate lesbiche possano incontrarsi e amarsi.

Quale importanza ha nella sua vita la partecipazione al movimento LGBT?
Sono convinta che Gesù Cristo mi abbia creata così per destinarmi ad una causa.
Ho partecipato ad attività politiche per gran parte della mia vita, sperando di poter, prima o poi, unirmi anche legalmente con la mia compagna, quando finalmente grazie alla legge Cirinnà, il 23 novembre 2017 sono diventata la sposa Gay più grande d’Italia.

Maria Laura cade e si rompe un gomito per l’asfalto rovinato

Il Corriere della Sera, nella cronaca romana, dà un certo risalto alla notizia

Articolo di Maria Egizia Fiaschetti
Online in roma.corriere.it

Pensava di fare una passeggiata al parco sotto casa, in via Franco Sacchetti, nel quartiere Monte Sacro. Un tragitto di poche centinaia di metri, per riattivare i muscoli e prendersi una pausa dai mille impegni che si trova a gestire come presidente dell’associazione «Di’Gay Project».

La pagina a stampa del Corriere della Sera del 17 maggio 2018

Se non fosse che venerdì mattina Maria Laura Annibali, 73 anni, conosciuta come «la senatrice» romana del movimento per i diritti degli omosessuali, in via Giovanni Papini ha perso l’equilibrio. Mentre percorreva la strada, dissestata in più punti, non si è accorta del dislivello ed è inciampata. L’asfalto gibboso le è costato una brutta caduta che, al netto del dolore e delle ferite, sulle prime non le sembrava poi così grave. «Sono finita faccia a terra e ho cercato di ripararmi con le mani — racconta da un letto nel reparto di ortopedia del Fatebenefratelli, dove è ricoverata in attesa dell’intervento — . Un inquilino del palazzo di fronte mi ha aiutata a rialzarmi, un altro mi ha preso sotto braccio e mi ha accompagnata a casa. Pensavo a una contusione, ma dopo 48 ore il fastidio è aumentato così mi sono decisa ad andare al pronto soccorso». I medici le hanno diagnosticato una frattura del capitello radiale informandola che dovrà operarsi (oggi le inseriranno una placca nel gomito). Assistita dalla moglie Lidia (la coppia si è unita civilmente due anni fa) che continua ad aggiornare la sua pagina Facebook, Maria Laura è preoccupata non solo per il recupero fisico, ma anche per la limitata mobilità alla quale la costringerà la lunga riabilitazione. «Mi aspettano tre mesi di fisioterapia — sospira — . Ho già disdetto una serie di appuntamenti e chissà quanti altri ne dovrò cancellare. Domani (oggi, ndr) sarei dovuta essere alla Camera per la Giornata internazionale contro l’omofobia…».

Saltati anche una serie di incontri, la presenza al Gay Pride e la proiezione del suo film «L’altra metà del cielo» a Milano: «Avevo prenotato viaggio e albergo da un anno, mi toccherà rinunciare». Non ne fa soltanto una questione personale, la 73enne attivista, che sa di essere un punto di riferimento per l’intera comunità: «Sul mio profilo ho ricevuto più di 500 messaggi di solidarietà — racconta con la voce che si incrina, commossa dall’abbraccio virtuale che un po’ la rasserena — . Mi chiedono: “E adesso come facciamo senza di te?”. Non immaginavo di ricevere tante manifestazioni di affetto, chi fa volontariato sa di non doversi aspettare nulla in cambio. Se l’empatia la porta a cercare sempre la strada del dialogo non esclude che, una volta uscita dall’ospedale, possa chiedere conto di quanto le è capitato. Denuncerà il Comune? «È un’ipotesi che sto valutando».

Più della rabbia, è lo scoramento a renderla inquieta nelle ore che precedono l’intervento: «Sono romana de’ Roma da nove generazioni, quanto sta accadendo è gravissimo. Il mio è un caso fra tanti, ma la città è sempre più abbandonata: vederla ridotta così fa male al cuore». Parole simili a quelle dettate a Lidia che si leggono sulla sua pagina: «Grazie Roma, eri una bella città. Ora guardati: triste, desolata e dolente, sembra che tu stia piangendo, chiedendo aiuto per essere Roma Capitale. Sì, la Roma di un tempo splendente, radiosa, ricca di alberi, di fiori e tanti giardini (ora diventati territorio dei tossici). Quanto mi manchi, Roma mia».

La notizia è rimbalzata dal Messaggero al sito del CODACONS (Laura Bogliolo)

Anziani gay al Senato

L’incontro con Cirinnà e Lo Giudice: “Ora una casa per invecchiare insieme”

di Pasquale Quaranta

Li avevamo incontrati lo scorso luglio per dare voce a un sogno, quello di creare a Roma la prima residenza per anziani omosessuali. Sono gay e lesbiche over 60, la maggior parte single, alcuni in coppia.

Dopo il primo servizio di Repubblica hanno fatto passi in avanti: si sono costituiti come associazione e sono stati ricevuti al Senato dal volto simbolo dei diritti civili in Italia, Monica Cirinnà, e dal senatore dem Sergio Lo Giudice. Entrambi si sono presi l’impegno di aiutarli per dare forma al progetto “Agapanto”.

(L’indirizzo e-mail per contattarli è anzianilgbt@libero.it, qui il blog).

Al riguardo il video di Martina Martelloni per Repubblica.it

Anziani gay, una casa per invecchiare insieme

A Roma il primo progetto di cohousing per anziani omosessuali.

di Alessia Arcolaci
pubbblicato su Vanity Fair

Perché lottare ancora quando lo hai fatto per anni? Perché sentirsi discriminati anche nell’età della vita in cui si dovrebbe essere solo coccolati? La vecchiaia. È questa la domanda che si sono fatti un gruppo di attivisti Lgbt over 60, tra cui Nicola Di Pietro, promotore dell’iniziativa. Hanno così deciso di fondare a Roma il primo progetto di cohousing per anziani omosessuali. Aperto anche agli etero. Una casa di riposo che Maria Laura Annibali, 72 anni, documentarista e presidente dell’associazione Dì Gay Project, preferisce chiamare comune. «Mi piace chiamarla così perché oggi che ho quasi 73 anni mi riporta alla gioventù, mi ricorda gli hippie. Io non lo sono stata perché mia madre non me lo ha permesso e io non ho avuto la forza di scappare di casa ma io li ho amati. Questo progetto mi ricorda molto le comuni».

Per oltre 20 anni Maria Laura Annibali si è nascosta. Al lavoro e agli amici raccontava di avere una relazione con un politico sposato. Tutto questo perché è lesbica e pronunciare con semplicità questa parola, 40 anni fa, non era scontato. «Ho preferito far pensare agli altri che io fossi un’amante piuttosto che confessare che avevo una compagna». Tutta la sua vita l’ha dedicata all’attivismo e oggi che partecipa alla creazione della prima casa di riposo per anziani gay è entusiasta. «Credo di essere stata coinvolta sopratutto per la mia età – sorride -. Sono 30 anni che proponiamo questa realtà, insieme ad altre associazioni come la Casa Internazionale delle Donne, lo avevamo già fatto con le due precedenti amministrazioni comunali e vederla quasi realizzata, anche se in forma diversa rispetto a una casa di riposo, mi rende felice».

In Italia i dati sulla comunità omosessuale scarseggiano, secondo l’Istat erano quasi ottomila le coppie censite ormai nel lontano 2011. A loro ma sopratutto alle persone sole che si trovano ad affrontare l’anzianità in solitudine che si rivolge il progetto di cohousing. Maria Laura, dopo 15 anni di fidanzamento con Lidia, il 23 novembre scorso ha indossato uno smoking bianco con tanto di cilindro e  l’ha sposata. «Dovrei dire che mi sono unita civilmente ma preferisco chiamare Lidia “mia moglie”. La nostra comune è dedicata alle coppie così come a chi è solo: per stare insieme e aiutarci reciprocamente». Ed è anche una questione economica, come ribadisce Laura: «Chi percepisce una pensione da 600 euro come può sopravvivere da solo? Il famoso bicchiere d’acqua quando siamo anziani, ai molti che sono soli chi glielo dà? Preferiremmo darglielo noi piuttosto che una persona ostile».

Perché tutte gli over 60 che oggi sono dichiaratamente gay hanno lottato duramente per poterlo essere, manifestato in strada insieme ai principali movimenti lgbt italiani.  «Abbiamo fatto da apripista. Non io che sono stata affetta da omofobia interiorizzata e mi sono nascosta per oltre 20 anni. Chi l’ha fatto davvero ha avuto tante porta sbattute in faccia, problemi con le famiglie, prese in giro, discriminazioni, sofferenza. Perché subire anche in vecchiaia in un ambiente che non è fraterno?». E a chi replica che questo cohousing per anziani sembra un modo per ghettizzarsi Maria Laura risponde: «La casa che faremo è aperta a tutti, non solo agli omosessuali. Non è un modo di chiudersi ma noi vorremmo in vecchiaia aiutarci e dare una possibilità a tutti».

Anche Marco Bergamaschi su Confidenze qualche settimana dopo

Anziani LGBT a Roma

Il progetto di cohousing a Roma su Repubblica

di Pasquale Quaranta

Capelli bianchi ed entusiasmo da ragazzini. Sono 60enni e omosessuali, la maggior parte single, alcuni in coppia: “Di vecchi – dicono – ci sono solo i pregiudizi”. Nella vita hanno fatto lavori diversi, dall’insegnante di liceo al ricercatore farmaceutico, dall’impiegato di banca al portiere d’albergo. Molti di loro sono soli perché hanno rotto con la famiglia di origine e se si avvicinano a un centro anziani trovano l’ostilità totale. Per questo hanno sentito il bisogno di unirsi e provare a vivere insieme. “Una casa di riposo gay, un cohousing lgbt, una nuova comune omosex? Chiamatela come vi pare — spiega il promotore dell’iniziativa, Nicola Di Pietro — Non vogliamo finire soli in un ospizio omofobico ma prenderci cura gli uni degli altri”.

Da leggere il servizio giornalistico completo di Pasquale Quaranta su Repubblica.it

Associazione AGAPANTO.
L’indirizzo e-mail per contattarli è anzianilgbt@libero.it, qui il blog.

Qui la video-notizia: di Pasquale Quaranta, riprese di Francis Joseph D’Costa, Valeria Lombardo, fonico Marco Nardi, montaggio di Paolo Saracino.