10 storiche attiviste lesbiche

Maria Laura tra di esse.

In occasione della Giornata Internazionale della Visibilità Lesbica, il 26 aprile, il sito di informazione LGBTIQ+ Gay.it, ha pubblicato la lista di 10 storiche attiviste lesbiche che hanno fatto la storia della comunità.

Dieci donne queer che in Italia hanno lottato con il loro attivismo, e la cui storia è bene ricordare.

Il movimento lesbico in Italia è partito relativamente più tardi rispetto ad altri Paesi come gli Stati Uniti, ma non per questo è stato meno grandioso, meno importante e meno di successo. L’attivismo in Italia nasce negli anni Settanta, più precisamente nel 1971, quando Mariasilvia Spolato fondò il Fronte di Liberazione Omosessuale (FLO), movimento poi confluito nel Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (F.U.O.R.I.) e insieme ad Angelo Pezzana fondò la rivista Fuori! .

L’articolo di Ileana Dugato

Sui maxi led Urban Vision / 2

IL PUNTO DI VISTA DI ANTONELLA GIORDANO. «E’ un auspicio convenzionale quello che campeggia sui maxi led di Roma e Milano.»

https://www.wordnews.it/gli-auguri-sui-maxi-led-delle-grandi-citta-la-differenza-e-contro-la-violenza

di Antonella Giordano

Gli auguri sui maxi led delle grandi città: la differenza è contro la violenza Roma, via del Corso

Lascio che siate voi a giudicare. L’ingresso del nuovo anno si presta alle stucchevoli mieline che notoriamente non temono rivali. Il brutto appartiene al passato e dall’ora zero del primo dell’anno scatta il delirio delle cifre espressive. Complice la bacchica effervescenza, ovunque è uno sciorinare di trionfalismi. Considerando che il ricalco cronologico spaziale è imperante è legittimo chiedersi quanto corrisponda ad un autentico anelito del cuore. Ciò vale nei rapporti familiari e in quelli sociali e raggiunge iperboli in quelli imposti da vincoli dove il re nudo lo si lascia avanzare,  salvo poi schernirlo “nelle sedi competenti”.  E voglio pensare che la  magnifica pellicola di Mario Monicelli, del 1992 ma mostruosamente attuale, non a caso abbia dato voce agli aspidi della human generation proprio in occasione delle celebrazioni natalizie

Buon anno di pace, serenità, salute. Positività a gogò salvo l’ultima per la quale la positività è una iattura. Quelli che consuetudinariamente ammortizzano il “deficit buono” si limitano ad augurare pace e amore. 
E qui mi si consenta una riflessione. Un bambino pronuncia la parola amore con il sorriso e riesce a sorridere anche se ciò che gli fa da cornice non può proprio definirsi come la reggia di Alì Babà. Basta rassegnare lo snodo generazionale perché “pace e amore” sembrino evocare miraggi, schegge di luce lontana che mai e poi mai contamineranno l’abulia che segna lo sguardo, le ferite del corpo e dell’anima.

Perché questa riflessione? Perché tra la messaggistica pulvicolare dilagante mi sono imbattuta nel più bell’augurio che potessi immaginare: La differenza è contro la violenza on air sui maxi schermi Urban Vision di Milano e Roma per tutto il periodo delle festività. 

Rimarca quello diffuso il 25 novembre scorso con una nota a mio avviso più decisa: alla violenza si oppone la differenza. Riconosco tra le immagini Maria Laura Annibali e sua moglie Lidia strette in un tenero abbraccio per ricordare al mondo cosa significa amore. Per ricordare quanto sono incredibilmente speciali le persone originali! Quelle  persone che si rifiutano di camminare lungo percorsi predefiniti. Le persone che si mettono in gioco con i propri talenti malgrado la stagione anagrafica. Le persone per le quali la diversità è ricchezza e non problema. 

Sono tanto belle queste persone che hanno la capacità di mettere in crisi i dogmi, che riescono a penetrare il senso profondo dell’esistenza umana per donare al mondo il meglio di sé, che hanno sempre una storia straordinaria da raccontare. 
Persone come Maria Laura Annibali e sua moglie che ricordano, con il loro modello di vita, cosa sono i diritti umani. Sì, i tanto sbandierati diritti umani di cui pochissimi sanno quanti e quali siano. I più sensibili riescono a darne una definizione ma se gli si chiedesse di fornirne un elenco quasi sicuramente dimenticherebbero che vi rientrano quelli al rispetto per le diversità. Quelli comunemente definiti di terza generazione e non per farne una categoria residuale bensì cronologica. Quelli riguardanti la collettività, i diritti che proteggono le categorie vulnerabili, come ad esempio le donne, le persone LGBTQI+, i bambini, i rifugiati ed i migranti, oltre al diritto alla pace, allo sviluppo, all’assistenza umanitaria ed alla protezione dell’ambiente.

La peculiarità di questi diritti di terza generazione sta nel fatto che si tratta di  diritti che prevedono obblighi di non ingerenza da parte dello Stato, come quelli di prima generazione, ma anche un intervento attivo da parte dello Stato stesso tramite legislazioni specifiche al fine di garantire il godimento di uguali diritti a tutti i cittadini. Malgrado ciò nella legislazione nostrana non sembrano figurare tra le priorità. 
Ma questa è un’altra storia.

Nel messaggio di auguri diffuso da Urban Vision io voglio leggere che nessuno ha il diritto di sottomettere l’altro a sé e alle proprie idee. Ognuno dovrebbe rispettare la diversità e vedervi sempre un valore, un mondo da scoprire e non da conquistare. Il messaggio è evidente. Meno evidente e comprensibile è la sua “gestione” per il fine che si prefigge di veicolare. Cerco di spiegarmi meglio. 
Non ho trovato sul sito della Urban Vision un comunicato che supportasse valorialmente ciò che scorre lungo i video. E questa è la nota deludente, se non parossistica

Gli auguri che scorrono svelando il flusso di immagini e scene familiari credevo volessero raccontare l’amore nella sua forma più estesa ed inclusiva possibile, incentrandosi nelle molteplici forme che assume. Maria Laura Annibali che ho riconosciuto io, come i molti che la conoscono, dopo una vita spesa al servizio dello Stato, in una stagione in cui le energie e le forze sarebbero legittimate  a fruire della gioia della tranquillità, avrebbe meritato una diversa attenzione. 

Dopo la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne una campagna di comunicazione finalizzata a contrastare la violenza in tutte le sue forme, compresa quella causata dalla disparità di genere (geneder gap, pay gap, inclusivity gap ed altre ancora) attraverso l’immagine avrebbe potuto essere il miglior augurio di buone feste se condotta con stile. 
Lo stile è un concetto di difficile definizione. Le sole affermazioni condivisibili sono che stile e linguaggio qualificano lasciando un segno nel tempo.

Provo molta tristezza nel dover troppe volte riconoscere che lo stile nella comunicazione si traduce spesso in una mostruosa mancanza stile.

Calendario Codacons 2022

Famiglie omogenitoriali, allargate, gay, lesbo, trans, con figli o senza nel nuovo calendario firmato Tiziana Luxardo che si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica e combattere le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere.

Video del backstage – Tiziana Luxardo, la sua équipe con i “modelli” e le “modelle” al lavoro sul set fotografico

Codacons e Tiziana Luxardo organizzano la  Conferenza Stampa di presentazione del

CALENDARIO CODACONS 2022
un progetto a cura di Tiziana Luxardo

Martedì 23 novembre ore 11.00

presso la Casa Internazionale delle Donne Via della Lungara, 19 Roma

Il calendario Codacons 2022 è frutto della lunga collaborazione tra Codacons e Luxardo che ha portato, negli anni, alla realizzazione di campagne di sensibilizzazione su importanti tematiche sociali. Con questo nuovo progetto, dal titolo “Dove c’è cuore c’è casa”, si vuole tracciare, attraverso dodici scatti in bianco e nero con un unico elemento di colore dato dalla cornice, si vuole tracciare una nuova geografia della famiglia italiana, più reale e meno convenzionale, che racconta nuove forme di affettività, di complicità e anche di genitorialità. Al centro del lavoro dell’artista come sempre i temi sociali, in questo caso trattati non da un punto di vista ideologico ma emozionale ed empatico.

Interverranno:

Carlo Rienzi, Presidente Codacons
Marco Ramadori, Copresidente Codacons
Tiziana Luxardo, Curatrice del Calendario Codacons 2022
Patrizia Mirigliani, Patron del Concorso di Bellezza Miss Italia
Maria Laura Annibali, Presidente Di’ Gay Project – DGP
Edda Billi, Presidente onorario AFFI e fondatrice “Casa Internazionale delle Donne”
Antonio Guidi, Ex Ministro per la Famiglia e la Solidarietà Sociale

Presenti, inoltre, alcuni dei soggetti ritratti nei dodici scatti che compongono il calendario.

Video dell’evento del 23 novembre 2021

IL mese di ottobre

Maria Laura e Lidia per il mese di ottobre

Fotomontaggio dell’evento dedicato a Maria Laura e Lidia

Per sfogliare il calendario:
https://www.gay.it/codacons-calendario-2022-famiglie-arcobaleno

La rassegna stampa: https://codacons.it/category/rassegna-stampa/

Intervista a La voce di New York

Con Lisa Bernardini

https://www.lavocedinewyork.com/arts/spettacolo/2021/09/12/maria-laura-annibali-e-lidia-unamore-clandestino-lontano-dalla-luce-per-15-anni/

di Lisa Bernardini

(Foto di Melissa Ianniello, immagine tratta dal progetto Wish it Was a Coming Out)

Maria Laura Annibali, la romana volitiva ed energica di cui state per leggere l’intervista, e che il prossimo 21 settembre compirà 77 anni, l’ho conosciuta nel 2017, insieme alla poetessa ed attivista Edda Billi, vera icona vivente della comunità lesbica romana, ma non solo (Edda negli Anni ’50, vorrei accennarlo, ha rischiato di perdere addirittura la vita per mano di suo padre, quando decise di parlare alla famiglia della sua omosessualità). Altri tempi: uscire alla luce del sole con certe verità era un atto di eroismo.

Entrambe ho fortemente voluto premiarle in una manifestazione culturale italiana di cui ero direttore artistico, riconoscendone l’attivismo infaticabile in tante battaglie di una intera vita. Da allora la sottoscritta, da eterosessuale che ha sempre nutrito un forte impegno civile, è diventata amica anche di Lidia (moglie di Maria Laura), e di tante altre esponenti del Movimento LGTB in Italia. Quando ho incontrato la prima volta Maria Laura, era stata approvata la Legge Cirinnà, e con Lidia era sposata da pochi mesi, coronando un sogno che le vede felici ancora oggi.

Una storia d’amore, quella tua con Lidia, che dura da tantissimi anni. Cominciamo dal momento esatto in cui vi siete conosciute: in quale occasione?

“Ci siamo conosciute a Roma, al Gay Village di Testaccio”.

Tua moglie Lidia è stata sposata prima di te con un uomo, e da quel matrimonio è nata una figlia. Che rapporti hanno oggi madre e figlia? Ed in generale: come è stato possibile conciliare un passato così importante nella vostra nuova vita di coppia?

Lidia mi ha fatto conoscere la figlia dopo qualche anno, e i rapporti con lei sono ottimi. Mia moglie, dopo aver confidato alla figlia il suo orientamento sessuale, si è sentita libera e compresa. Oggi i fantasmi brutti del nostro passato li  abbiamo lasciati entrambe alle nostre spalle”.

Come avete fatto a vivere questo amore, che è stato clandestino e lontano dalla luce per ben 15 anni?

“Purtroppo è stato clandestino perché, dopo la separazione di Lidia, sono cominciate le pratiche di un divorzio lunghissimo, dove è intuibile fosse abbastanza pericoloso farci vedere insieme. Noi, però, non ci siamo mai arrese; evitavamo solo che i fotografi o le televisioni ci riprendessero. E’ stato un periodo, sotto questo profilo, di grande attenzione: eravamo molto controllate fuori, ma dentro di noi questo non ha impedito che il nostro sentimento continuasse a crescere. Lidia, quando vedeva qualche fotografo o operatore, si mescolava con i nostri amici, ecco”.

In occasione del Premio Speciale Cultura a Maria Laura Annibali ed Edda Billi nell anno 2017 alla manifestazione Photofestival Attraverso le Pieghe del Tempo

Proviamo a raccontare il momento in cui avete fatto coming out dopo tanti anni di buio.

“Arrivato il divorzio di Lidia, il quotidiano Il Messaggero mi fece una intervista con lei accanto, e ci fotografò entrambe. In quella occasione io dichiarai che sarei stata una delle prime donne ad unirmi civilmente. Per fortuna, la figlia di Lidia già mi aveva conosciuto e aveva accettato il nostro rapporto, quindi non rimase sbalordita di questa mia dichiarazione (al contrario di qualcun altro!)”.

L’inizio della vostra storia assomiglia davvero ad un romanzo, e vorrei accennarlo. Che dichiarazione ti ha fatto per convincerti a mettervi insieme?

“Ricevetti una telefonata da Lidia ormai 20 anni fa, alle 3 di notte, che mi sollecitava a scendere per vedere la sorpresa che mi aveva fatto quasi sotto casa. Le risposi se fosse pazza!!! Le promisi comunque che di prima mattina, il giorno seguente,  sarei andata a vedere. Sono stata una donna molto amata nella mia vita, ma nessuno mai aveva scritto  di notte, su un muro del mercato di fronte alla mia casa, la frase Laura, ti amo appassionatamente e perdutamente, accompagnando la scritta con un cuore trafitto da una freccia con le nostre iniziali  e tre goccette di vernice rosso sangue vicine! Come avrei potuto mai non accogliere questo amore? E così ho fatto. Per fortuna”.

Il giorno del matrimonio tra Maria Laura e Lidia

Quando vi siete sposate, finalmente?

“Il 23 novembre 2016, e non potevamo che suggellare così il nostro legame sentimentale,  visti gli anni di battaglie a favore delle unioni civili che avevo condotto in prima persona insieme alla senatrice Monica Cirinnà, al senatore Sergio Lo Giudice e alla mia Associazione Di’ Gay Project (unitamente a tante altre Associazioni che hanno avuto a cuore questa tematica)”.

La vostra storia, insieme ad altre storie di vita, è stata scelta per «Beyond the Rainbow», la campagna interattiva globale di H&M che invita a guardare oltre l’ arcobaleno per toccare con mano storie vere di vita vissuta. Come siete state contattare per partecipare?

“Questa esperienza, ti confesso,  è stata una delle più entusiasmanti  della mia vita; partecipare a questa grande operazione anti omolesbotransfobia internazionale, con nomi famosi da vari Paesi, sinceramente a me e a Lidia ha dato una carica di entusiasmo che ancora non è finita. Siamo state scelte da una funzionaria italiana di H&M che – sponte sua – ha mandato una nostra intervista video fatta un paio di anni fa alle persone responsabili della comunicazione in Svezia. Il direttore della più importante rivista gay svedese ci ha poi fatto un provino su una piattaforma, alla presenza di un traduttore e con la supervisione della regista di tutta questa operazione, ed è andato benissimo, al punto che ci hanno inviato immediatamente il contratto. Siamo veramente fiere di essere state scelte solo noi, come coppia, a rappresentare l’Italia”.

Lidia non è stata la tua prima relazione importante, in realtà.

“Sì, vero; ho convissuto ben 23 anni con una mia compagna di scuola: un rapporto tormentato dalla profonda gelosia e caratterizzato dal possesso della mia Lei di allora”.

Maria Laura Annibali, 75 anni, e Lidia Merlo, 72 anni, Roma. (Foto di Melissa Ianniello, immagine tratta dal progetto Wish it Was a Coming Out)

Come ha fatto una donna della tua età, vissuta in altri tempi e con mentalità diverse, ad introdursi nel mondo Pride? Proviamo a spiegarlo, anche con poche parole. E a chi vuoi dire grazie.

“Devo molto, e lo ricorderò sempre, all’incontro con una grande donna che ha creduto in me fin dal primo momento che mi ha conosciuta: Imma Battaglia. Imma ha appoggiato fin dall’inizio tutti i miei progetti, come creare un gruppo di autocoscienza, facente capo proprio alla sottoscritta,  presso la nostra sede associativa; o come farmi essere responsabile dello sportello del  microcredito ( siamo stati l’unica Associazione LGBTQ ad avere l’incarico dalla Regione Lazio). Altro grazie che le devo è stato  far intitolare uno dei fiori all’occhiello dei nostri progetti ad una esemplare amica e splendida attivista quale era Maria Baiocchi. Mi ha fatto poi  organizzare incontri nelle scuole, nelle università, nei centri anziani dove sono stata con i miei documentari. Abbiamo anche fatto firmare un progetto pilota dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Direttore Generale del DAP e dal Garante dei Detenuti di Roma e del Lazio (ho avuto  la possibilità di una esperienza umana, civile e politica bellissima, insieme ad Edda Billi) nonchè dalla Dott.ssa Antonella Montano. Insieme a tutte le attiviste abbiamo sperimentato  come la nostra Associazione abbia veicolato nella sua storia messaggi di pace e di inclusione, attraverso anche tante conferenze sull’arte, sulla archeologia e sulla filosofia. Infine,  vorrei ricordare un’ altra iniziativa che mi ha resa felice ed onorata : la pubblicazione di una mia intervista insieme ad una di Edda Billi, racchiuse entrambe in un libro dal titolo Donne da sfogliare. Un grazie immenso va pertanto anche a lei: alla grande Edda”.

Se avessi la possibilità di avere davanti a te,  tutti insieme, gli omofobi di cui purtroppo sono ancora piene le cronache, per spiegare loro la crudeltà e il peccato mortale dei comportamenti di odio nei confronti della comunità LGTB, quali parole sceglieresti?

“Vergognatevi, perchè ci fate del male. L’Amore non ha sesso. Direi solo questo”.

Hai più rimpianti o rimorsi, Maria Laura?

“Qualche rimpianto; nessun rimorso.  Da credente quale sono, sono convinta che  Lui  mi ha creato così, perchè evidentemente voleva che io non fossi in un altro modo”.

E Lidia cosa ti ha confidato? Di avere più rimorsi o rimpianti?

“Dato il suo passato molto sofferto, anche lei non ha rimorsi. Rimpianti, invece, molti”.

Maria Luisa alla Camera dei Deputati nel 2015

“Ho l’onore di essere la Presidente Di’ Gay Project succedendo ad una figura come Imma Battaglia, e ci siamo sempre occupati come Associazione di ogni discriminazione, e lo abbiamo fatto in ogni maniera possibile; continuiamo a combattere i soprusi con tutte le nostre forze. Dal palco di  eventi culturali o da quello di manifestazioni pubbliche più o meno grandi, noi ci siamo sempre stati. Nella società civile, che ritengo sia comunque più avanti della politica, manca veramente poco secondo me a riconoscere  diritti che in tante altre   nazioni sono leggi da anni;  mi    riferisco    soprattutto     al     Ddl Zan, il      disegno     di   legge contro l’ omolesbotransfobia, per il quale da un anno, sempre con la bandiera della mia Associazione,  vado a manifestare in piazza. L’altra lotta che le Associazioni che hanno a cuore i diritti civili devono continuare a combattere è quella dei figli delle Famiglie Arcobaleno;  non sono figli di un Dio minore!  Non vorrei ripetermi, ma partirà  dalla  società civile la spinta evolutiva  necessaria a far smuovere una politica ancora addormentata su temi spinosi come questi”.

Sei anche regista: parlaci del tuo ultimo cortometraggio dal titolo “L’altra altra metà del cielo”, che in realtà racchiude una trilogia di documentari. Da dove è partita l’idea ?

“Il mio ultimo documentario “L’altra altra metà del cielo. Donne” è il mio  terzo lavoro sulla identità lesbica. E’ un progetto che è cominciato con “L’altra metà del cielo” nel 2008, e proseguito nel 2011 con “L’altra altra metà…Continua”. Credo e spero di aver dato visivamente un contributo rilevante alla causa lesbica, così troppo spesso ignorata ed umiliata. I miei lavori come regista mi hanno portato anche due premi e  tanta visibilità personale. Come dico sempre,  sono veramente fiera di queste mie tre figliole”.

Tu e Lidia siete mai state in America?

“Io sì, ben 3 volte.  Lidia no: mai”.

Cosa speri che rimanga, ai lettori delle comunità italiane all’estero che vi leggeranno,  della vostra storia d’amore?

“La purezza dei nostri sentimenti e, dato che ci siamo incontrate in età matura, spero passi il messaggio che l’amore puo’ far battere i cuori e rendere felici anche persone non più giovanissime. Prima di salutarci, permettimi di accennare ad un prossimo progetto che mi vedrà ancora insieme alla mia amata Lidia: un calendario che parlerà fotograficamente di nuove famiglie, a firma di Tiziana Luxardo”.

Maria Laura e il ddl Zan contro l’omofobia

Sempre in prima linea!

Cosi Insider Trend.it

Tutto rinviato alla data per la quale è stato fissato il termine per la presentazione degli emendamenti. Secondo Maria Laura Annibali (storica esponente galassia LGBTQI+), si tratta di «una legge giusta per rimuovere tutte le cause di discriminazione, in particolare anche quelle contro i disabili, delle quali non parla mai nessuno». Intanto Salvini rimarca la sua immagine filoclericale nominando la Baldassarre responsabile del Dipartimento famiglia del suo partito.

Il Month Pride e la campagna della celebre griffe H&M

Da Giovanna Albi e Antonella Giordano due significativi articoli on line nel mese dell’orgoglio LGBTQI+: Maria Laura tra la campagna H&M e L’altra altra metà del cielo. Donne.

di Giovanna Albi

Su: Periodico italiano magazine http://www.periodicoitalianomagazine.it

Il mese del Pride, che continuerà per tutta l’estate 2021 fino a settembre, si svolge anche on line per dare maggiore visibilità alle battaglie del movimento Lgbt, iniziate 50 anni fa. Alcuni appuntamenti ci sono già stati, nel rispetto delle misure di contenimento anti-Covid, a Bergamo, Liguria e Lecco. Altri sono in programma per oggi, 26 giugno 2021, nelle Marche, a L’Aquila, a Milano, a Roma, a Faenza e Martina Franca (Ta); il 3 luglio a Napoli e Verona; il 21 agosto a Brindisi e nel Salento, in Puglia; il 4 settembre a Catania e Gorizia. Prima della pandemia si sono tenuti cinquanta eventi in Italia, con oltre un milione di partecipanti. Quest’anno, l’affluenza è di gran lunga ridotta. Per esempio, a Milano c’erano poche migliaia di persone; nel 2019 erano 150 mila. Ma la diffusione delle manifestazioni sta avvenendo anche in rete, per dare maggior voce a questa ‘Onda Pride’, che si batte per il riconoscimento di tutte le identità, contro omofobia e discriminazione: temi molto sentiti, anche per la discussione in corso sul ddl Zan.
Molte sono le campagne pubblicitarie a sostegno dell’Onda Pride anche nel mondo dei libri, ma non solo: tra tutte, si distingue quella promossa dalla celebre griffe H&M, azienda di abbigliamento fondata in Svezia nel 1947, con sede a Stoccolm

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a.
Il gruppo conta 52 mercati on line, 5 mila negozi in 74 mercati, con un numero di dipendenti di circa 153 mila persone. Quest’anno presenta ‘Beyond the Raimbow’: una campagna interattiva a sostegno del Pride e della comunità Lgbtqia, incoraggiando le persone a condividere le loro esperienze e il percorso che le ha condotte a riconoscere la propria identità.
A rappresentare l’Italia ci sono Maria Laura Annibali, presidente del ‘Di’ Gay Project’, associazione fondata da Imma Battaglia con sede a Roma e sua moglie, Lidia Merlo. Lei due donne, ultrasettantenni, unite civilmente da quattro anni, hanno raccontato in un video il percorso accidentato e anche doloroso che le ha portate al ‘coming out’ dopo un matrimonio di 35 anni (Lidia) e una relazione lunga e nascosta con una donna (Maria Laura). Quest’ultima definisce la sua identità precedente al coming out “velata”: si nascondeva, infatti, dietro una relazione di fantasia con un importante professionista di Roma, essendo vittima di omofobia interiorizzata. Oggi, finalmente libere di essere autentiche, spassosamente raccontano il loro primo bacio e invitano i giovani a non ripetere il loro percorso, ma a fare subito ‘coming out’. Celebriamo pertanto anche noi il ‘Month Pride’, perché il ‘Di’ Gay Project’ di Roma promuove percorsi di autocoscienza e incontri letterari con filosofi di spessore.

Sotto uno stesso cielo

di Antonella Giordano

su: International web Post https://internationalwebpost.org

Uno sguardo profondo, reso ancora più penetrante dagli occhi bistrati, illumina il viso raggiante. Il sorriso a completamento dell’insieme esprime, al di là di mille parole, la felicità di chi è inaspettatamente ad un traguardo tanto inseguito e altrettanto desiderato.

Una felicità raggiunta a prezzo di anni di lotte affrontate senza protagonismi accanto a persone anonime, sfidando pregiudizi e ostilità con il coraggio e la perseveranza che posseggono solamente quelli che hanno grande fede in Dio e/o la tempra che anima i Giusti

Si dice che la determinazione trova, primo o poi, il suo ristoro e Maria Laura Annibali, romana classe 1944, può ritenersi oggi ripagata per gli sforzi profusi.

Estrazione medio borghese, laurea in scienze politiche e incarico professionale direttivo in un ministero possono essere requisiti inutili se non addirittura deterrenti se i tempi non sono maturi e non lo è nemmeno la società che dei tempi è l’immagine (e ciò anche se trattasi della Capitale d’Italia).

Ma Maria Laura non si è mai arresa dinnanzi agli ostacoli e così lei e sua moglie Lidia Merlo lo scorso 21 giugno sono state elette dal colosso svedese della moda H&M come testimonials nel mondo. Sono l’immagine dell’Italia protagonista di Beyond the Rainbow a sostegno della comunità LGBTQI+, la campagna pubblicitaria globale interattiva – caratterizzata anche da un’applicazione per smartphone – promossa per condividere e sostenere i valori fondamentali di diversità, uguaglianza e trasparenza. I valori in cui si radica lo stadio di civiltà dell’umanità autentica.

La Annibali viene definita come attivista (lei preferisce qualificarsi volontaria) nell’ambito di una causa in cui l’identificativo presta il fianco a rivoli di sottotitoli, in dose più o meno variabile, suscettibile di formare argomento facile per approcci superficiali, vacue strumentalizzazioni ideologiche o parateatrali, varia imbecillità argomentativa.

Quando non si è obbligati ad indossare divise o cavalcare cavalli bardati l’affermazione della Conoscenza richiede grande impegno a beneficio della verità dei fatti e, se occorre, del compendio del pensiero. Formulo questa considerazione in un momento in cui è acceso il dibattito politico sull’iter legislativo del Ddl recante Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità (noto come “legge Zan”) e il tema dibattuto della diversità si arricchisce di ulteriori sfaccettature, additivi di cui forse non tutti erano compiutamente a conoscenza prima di adesso.

Il linguaggio della comunicazione straripa di lemmi/specificazioni nostrane ( identità di genere, ruolo di genere, orientamento sessuale, eterosessualità o eterosessismo, disforia di genere, omofobia, omonegatività, transessualismo, intersessualità., travestiti) e anglosassoni (pride, coming out, outing, queer, transgender). Non ne spiego il significato per lasciare libero ciascuno di corroborare il proprio patrimonio conoscitivo con la copiosità del glossario. Mi limito, per dovere d’informazione, a dire che nella gamma semantica straordinariamente variegata domina omo-trans-fobia e LGBT(acronimo anglosassone coniato per indicare persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender), a volte si declina come LGBTIQ per comprendere anche le persone che vivono una condizione intersessuale.

Guardare all’altro per indicizzarne e stigmatizzarne la diversità è tipico di una società fragile, priva di solide basi culturali allo stato diffuso e, dunque, duttile e straordinariamente malleabile alla stregua dell’ infinita lotta che in altre epoche ha animato la caccia alle streghe. Il diverso da sé è il bersaglio da annientare o il bersaglio da deridere. La Storia ci racconta che è accaduto e, purtroppo anche in tempi non molto lontani da oggi. Perché? Escludendo (e solo per ragioni di spazio espositivo) le derive della personalità che fanno grandi gli eroi del crimine e la massa esponenziale dei di loro emulatori tra le risposte collettive più conferenti faccio mia quella più diffusa: ignoranza (da giurista trovo che, allo stato, possieda anche un potenziale multitasking).

Assumerne consapevolezza sarebbe una conquista civiltà. La nostra società, purtroppo, difetta di formazione valoriale ed eccede in stereotipi, che finiscono per essere spesso le clave da utilizzare unicamente per delegittimare. La nostra società oggi sfugge al confronto perché carente, in troppi ambiti, del clone della Conoscenza perché scuola e cultura pencolano nella crisi pandemica di adeguare i propri kairos ad un sistema sociale multiidentitario .

Io non vorrei più vedere soffrire nessuno. A mio avviso la società, oggi, a differenza della politica, è più pronta e propensa ad ascoltare e ad apprezzare la diversità rispetto al passato. A non essere ancora pronti e predisposti sono i genitori. C’è bisogno di formazione nelle scuole, nei posti di lavoro. C’è necessità di aiutare le persone a capire, a prepararle, dare loro gli strumenti per imparare ad accettare e accogliere i percorsi e le scelte personali dei figli, e in generale dell’altro. C’è bisogno di raccontare, di parlare (ha dichiarato Maria Laura Annibali a Laura Scafati per Vanity Fair lo scorso 21 giugno).

Ho voluto incontrarla al Teatro di Documenti (interessante realtà presente a Roma, nel quartiere Testaccio) e assistere alla proiezione del suo docufilm L’altra altra metà del cielo. Donne (per la regia di Filippo Soldi).

La visione è stata motivo per conoscere un universo di situazioni umane, tutte caratterizzate da un cammino di difficoltà, ciascuna resa dolorosa dall’incomprensione e dall’ostracismo sociale. Vite ancora in cammino verso orizzonti di inclusione lontani a realizzarsi compiutamente.

La sofferenza, che sia di se stessi o degli altri, diventa un valore nel momento in cui costringe a riflettere, quando consente di abbattere i preconcetti, i muri mentali che impediscono di vedere al di là di se stessi, del nostro piccolo mondo. Troppo spesso si esprimono giudizi superficiali su realtà che non si conoscono e, quando poi si incontra la sofferenza, queste certezze vacillano. Le umiliazioni sofferte dalle donne protagoniste del film sono servite ad abbattere qualche muretto; nel panorama generale popolato da tante vite immobili le loro vite sono valori.

In esergo una riflessione. Mi sono imbattuta, come tanti, in altre metà del cielo a loro volta frazionabili in altre ancora e in vari soli. Voglio guardare al cielo come a uno spazio unico dove tutti vedono una stessa luna e uno stesso sole. Dove la luce illumina tutti allo stesso modo.

Prospettiva utopistica o insulsa? Forse l’una e l’altra cosa ma è ciò che penso.

Maria Laura e Lidia testimonials di H&M – 1

Una storia che, insieme a tanti altri racconti di amore, odio, coming out, ricerca di sé, è diventata protagonista di Beyond the Rainbow, la campagna globale interattiva di H&M che sostiene il Pride e la comunità LGBTQIA+.

La nota griffe svedese per la propria campagna pubblicitaria mondiale a sostegno della comunità LGBTQI+ ha scelto anche Maria Laura e Lidia come testimonial.

https://beyondtherainbow.hm.com/

La campagna è caratterizzata da un’applicazione per smartphone.

Maria Laura e Lidia testimonials di H&M – 2

La campagna di H&M Beyond the rainbow su Vanity Fair con intervista a Maria Laura.

Articolo-intervista di Laura Scafati per Vanity Fair

Maria Laura Annibali e Lidia Merlo hanno tenuto il loro amore nascosto per 15 anni. Tre lustri di sofferenze, bugie, smarrimento. Fino a quando la forza della loro unione ha prevalso su condizionamenti familiari e religiosi, pregiudizi e ripercussioni sul posto di lavoro.

Oggi, le due, sposate dal 2016, vivono la propria relazione alla luce del sole, orgogliose di raccontare la propria storia al mondo. Una storia che, insieme a tanti altri racconti di amore, odio, coming out, ricerca di sé, è diventata protagonista di Beyond the Rainbow, la campagna globale interattiva di H&M (qui per accedere e conoscere tutti i protagonisti) che sostiene il Pride e la comunità LGBTQIA+. Un progetto, quello del colosso svedese, nato per ispirare gli individui a conoscere, condividere, e sostenere i valori fondamentali di diversità, uguaglianza e trasparenza. Ma soprattutto un invito, quello di guardare oltre il mero arcobaleno per scorgere e toccare con mano reali storie di vita. Come quella di Maria Laura e Lidia.

La video-intervista di Maria Laura e Lidia.

Nel video per la campagna di H&M raccontate il dolore di un amore tenuto nascosto per tanti anni. Che cosa vi ha spinto, a un certo punto, a uscire alla luce del sole?
M.L.: «Ho nascosto la mia vera identità per 23 anni quando stavo con la precedente compagna, e poi per altri 15 quando mi sono messa con Lidia. All’epoca della prima relazione, intorno agli anni Settanta, avevo un ruolo pubblico, ero una donna conosciuta, non potevo dire che stavo con un’altra donna sebbene ci convivessi. Ma dentro soffrivo, tanto. Poi un giorno ho detto basta. Mi sono resa conto che non potevo andare avanti in questo modo e così, nonostante avessi un lavoro importante, rassegnai le dimissioni. Lo feci per amore. Poi la mia ex mi lasciò e mi ritrovai senza lavoro e senza amore. Ma non mi pentii. Mi dissi: perché mi devo nascondere?»

Che cosa fece allora?
«Nel 2000 iniziai a prendere i primi contatti nel World Gay Pride, ma sempre in sordina. All’inizio mi vergognavo, tanto che partecipai alla parata del Pride sotto la bandiera degli animalisti, anche perché lo ero e lo sono tuttora, senza dire niente a nessuno. Da lì iniziò il mio graduale percorso di coming out.»

A quel punto la sua strada si incrocia con quella di Lidia…
L: «Io mi sono sposata, ma senza esserne veramente consapevole. Ho avuto anche una figlia. Ma in quegli anni dentro di me percepivo dolore, perché mi rendevo sempre più conto che non era quella la mia strada. A me piacevano le donne. Ho soffocato questo desiderio per i condizionamenti familiari e religiosi con i quali sono cresciuta, fino a che un giorno, per caso, leggendo il giornale, vidi che parlavano del Gay Village. Non sapevo niente di questo mondo, ne ero completamente fuori, ma la cosa mi incuriosì e dissi: voglio andarci.»

Ci andò?
«Il primo giorno andai, ma per vergogna non entrai. Poi mi fai coraggio e tornai il secondo giorno. Chiesi di parlare con qualcuno per potermi confrontare, capirne un po’ di più. Mi risposero che organizzavano dei gruppi di auto-coscienza e ad occuparsene era proprio Maria Laura. Mi venne presentata, parlammo, e fu un colpo di fulmine. Me ne innamorai all’istante. Lei all’inizio era molto reticente, non ne voleva sapere, ma io le assicurai che avrei fatto di tutto per conquistarla e farle dimenticare la sua ex. Una sera comprai una bomboletta di vernice spray rossa, andai sotto casa sua alle tre di notte col rischio che mi arrestassero e scrissi per terra: «Laura ti amo appassionatamente e per sempre» con un cuore, una freccia e due gocce di sangue. Dopodiché la chiamai, e le dissi di scendere a vedere la sorpresa che avevo preparato per lei. Da lì iniziò la nostra storia.»

Nel video Maria Laura dice che, per nascondere il suo orientamento, ha raccontato a tutti di essere «l’amante» di un uomo in vista. Quanto pesava il giudizio altrui in quegli anni in cui lottavate interiormente tra «chi dovevate essere» e «chi veramente eravate»?
M.L.:«Non era tanto il giudizio altrui a pesare, ma quello di noi verso noi stesse. Ovvero, quella che si chiama omofobia interiorizzata. Noi stessi abbiamo paura di quello che siamo perché il mondo non ci aiuta ad esserlo, a tirarlo fuori. Ma non perché abbiamo incertezze o perplessità. Quando arrivi a maturare la consapevolezza di chi realmente sei, non sono i dubbi a farti paura, ma abbiamo comunque bisogno di tempo per dire e confessare a noi stessi chi siamo, e una società che ci osteggia non fa altro che frenare il percorso. In più il velato pubblico non aiuta certo la causa.»

Per tantissime persone, oggi, è ancora difficile fare coming out…
M.L.:«Sì, perché molti di noi hanno bisogno di un aiuto. Parlo di un aiuto globale, a livello politico. Se un gay o una lesbica vengono ingiuriati e la politica non fa niente per tutelarli è chiaro che molti preferiscano rimanere nell’ombra e non dichiararsi. A maggior ragione per coloro più anziani, magari sposati o con figli. A me e Lidia all’inizio è successa la stessa cosa. Lei era sposata, con una figlia, e io con un lavoro in Commissione Tributaria. Non potevamo fare altro che nasconderci, vivere nell’ambiguità, tanto che io ho raccontato a tutti, e soprattutto alla mia famiglia, che ero l’amante di un uomo in vista, avevo fatto anche nome e cognome. Fino a che, dopo quasi 15 anni, ci siamo liberate entrambe di questo fardello.»

Che sensazione avete provato?
«Di felicità, leggerezza, emozione. Finalmente provavamo la libertà.»

C’è qualcosa che non rifareste se poteste tornare indietro?
M.L. «Soffrire come ho sofferto. E soprattutto non aver detto subito a mia sorella, che purtroppo oggi non c’è più, che ero lesbica. La mia ex non voleva che la vedessi, la frequentassi, che andassi da lei. Chissà che cosa deve aver pensato di me…»
L.: «Non mi terrei tutto dentro. È stata una sofferenza enorme. Ho sbagliato col matrimonio, dovevo combattere contro i condizionamenti familiari e dire la verità, chi ero, che cosa provavo.»

Quale consiglio vi sentite di dare alle nuove generazioni e a chi sta lottando per i propri diritti e libertà?
L: «Parlare, parlare, parlare. Non soffrite! L’amore non ha sesso. L’amore è amore!»
M.L.: «Io non vorrei più vedere soffrire nessuno. A mio avviso la società, oggi, a differenza della politica, è più pronta e propensa ad ascoltare e ad apprezzare la diversità rispetto al passato. A non essere ancora pronti e predisposti sono i genitori. C’è bisogno di formazione nelle scuole, nei posti di lavoro. C’è necessità di aiutare le persone a capire, a prepararle, dare loro gli strumenti per imparare ad accettare e accogliere i percorsi e le scelte personali dei figli, e in generale dell’altro. C’è bisogno di raccontare, di parlare.»

La campagna di H&M, in questo senso, è stata un’importante opportunità per dare voce alla vostra storia
M.L.: «È stata un’esperienza bellissima e una preziosa opportunità. Ci siamo divertite tanto a farlo, soprattutto perché il fine di questo progetto è la nostra stessa missione di vita. Quella di battersi per le libertà e i diritti universali e mettere a tacere l’odio. Dove c’è amore non ci può essere peccato.»

Maria Laura e Lidia “spose” in chiesa ad Assisi, il racconto

In occasione del quarto anniversario dell’unione civile con Lidia, Maria Laura ricorda il “matrimonio” religioso celebrato il 23 agosto 2017.

“Per grazia di Dio sono lesbica e sono sposata, anche davanti a Dio, con Lidia. Non è fantastico?”.

di Federico Boni
per Gay.it: https://www.gay.it/maria-laura-lidia-spose-chiesa-assisi-racconto

Maria Laura Annibali, 75enne Presidente dell’Associazione DI’GAY Project, e Lidia, 72 anni, si conoscono da 17 anni. A quattro anni dalla loro unione civile, Maria Laura e Lidia sono andate ad Assisi, in una delle tante cappelle dell’Eremo delle Carceri in cui san Francesco e i suoi seguaci si ritiravano per pregare e meditare, per ‘sposarsi’. A raccontarci quanto accaduto la stessa Maria Laura, che ha scritto un lungo e dettagliato resoconto di una giornata decisamente particolare. A celebrare l’unione delle due donne, un ex sacerdote.

“Ci devo riflettere un attimo”, così mi rispose l’amico Roberto Tavazzi quando gli chiesi di celebrare per me e Lidia il matrimonio religioso. Roberto è oggi un anziano signore che vive in Umbria da vent’anni dopo aver lasciato la Lombardia quando, presa consapevolezza di essere gay, ha smesso di fare il prete (cattolico, ovviamente) e, a 43 anni suonati, ha provato a imbastire una nuova vita. Non ho usato a caso l’espressione “smesso di fare”, perché sono tuttora convinta che, per un credente (di qualunque natura), un ministro di culto non è semplicemente un professionista del sacro, cioè non esercita solo un mestiere, ma è un tramite con Dio e quindi, per me, Roberto ha smesso di “fare” il prete, ma non ha smesso di “essere” prete”.

Maria Laura, fortemente cattolica, ne è fermamente convinta, anche perché ha “ancora vivido il ricordo di quello che ci hanno fatto imparare a memoria quando, da piccola, frequentavo il catechismo (ed ero pure molto brava, essendomi meritata alcuni premi del concorso “Veritas” nelle gare di dottrina cristiana degli anni ’50) e cioè che se uno diventa prete lo rimane per sempre. Non solo ma ricordo che ci hanno insegnato pure che, nella logica dei sacramenti cattolici, chi “celebra” il matrimonio non è il prete, bensì gli sposi, o meglio, nel caso mio, le spose, particolare quest’ultimo non certo trascurabile”.

Roberto, amico di una vita, non ha perso tempo nel dare una risposta alle due donne, condividendo con entrame le ragioni profonde di questa volontà. “Non doveva essere una cosa finta, una “imitazione”, ma una cosa vera, perché ci sono tutti gli elementi perché lo sia, anche se fuori dalle convenzioni sociali”, precisa Maria Laura, da sempre dichiaratamente credente.

Assisi, 23 agosto 2017. Maria Laura e Lidia “spose” anche religiosamente.

Ancora una volta ci siamo dichiarate l’una all’altra, Roberto il testimone a rendere visibile ai nostri occhi una realtà che, pur infinitamente più grande di noi, in quel momento ci ascoltava e ci abbracciava. Fu un momento di emozione intensa, indimenticabile. Sono consapevole che raccontare di matrimonio religioso omosessuale faccia storcere il naso, ma faccio notare che tale reazione è la medesima sia dentro le comunità religiose ufficiali che dentro la stessa comunità LGBT. Le ragioni sono ovviamente opposte. Le prime perché credono che Dio non possa benedire ciò che sarebbe contro natura, le seconde perché pensano che non abbiamo bisogno della benedizione di alcuno per vivere quello che siamo”.

Maria Laura è consapevole che troppo spesso “parlare di omosessuali “credenti” a molti” appaia “come una contraddizione in termini e, in effetti, lo è se si considera la “struttura” religiosa che, la storia lo insegna, è all’origine di tanta parte dei conflitti tra i popoli, così come lo è anche dei conflitti nella vita delle persone, generando ingiustificati sensi di colpa, che impediscono l’accettazione serena di sé”. “Io non voglio dare l’impressione di volere cercare un compromesso o una via mediana (non ci può essere compromesso con chi ci nega la vita!)”, sottolinea, “ma forse può aiutare il fatto di separare la fede dalla religione: io sono credente, lo ribadisco, ma non seguo una religione precisa; ovviamente, come la maggior parte degli italiani, sono di formazione cristiano-cattolica, ma ciò non mi ha impedito di credere che sono lesbica perché Dio vuole così e solo così posso essere felicemente me stessa; se poi è vero che è nell’amore soltanto che possiamo trovare Dio, allora per me questo ha il volto di Lidia e questo ho confermato con il matrimonio celebrato ad Assisi. Quello che al riguardo possono pensare le chiese o religioni ufficiali, variamente denominate, non mi scalfisce minimamente né mi interessa, se non nella misura in cui fa del male a tanti e tante o ostacola il raggiungimento dei pari diritti. Per grazia di Dio sono lesbica e sono sposata, anche davanti a Dio, con Lidia. Non è fantastico?”.

Con Melissa Ianniello su The Guardian

Melissa Ianniello, con il progetto fotografico Wish it Was a Coming Out, ha avuto l’attenzione del The Guardian che ha pubblicato una selezione di foto con relative didascalie.

Tra le foto selezionate anche l’ormai nota foto di Maria Laura e Lidia

La foto pubblicata di Maria Laura e Lidia con la didascalia.

Al reportage de The Guardian ha fatto eco il quotidiano La Repubblica nelle pagine della cronaca locale di Bologna (città dove vive Melissa) con un ampio servizio di Caterina Giusberti sulla fotografa e i suoi progetti, pubblicato nell’edizione in edicola il 26 agosto 2020.

Per leggere la pagina scarica il pdf qui.

Il canto dai balconi

Articolo di Maria Laura sull’esperienza della quarantena.

Roma Talenti: “Il canto dai balconi” ha sconfitto la solitudine e gli stereotipi per una convivenza civile

Roma Talenti: “Il canto dai balconi” ha sconfitto la solitudine e gli stereotipi per una convivenza civile
Terminata la quarantena, ma l’amicizia continua

L’articolo pubblicato sul sito: fai.informazione.it

Considerata la mia età, 75 anni, e alcune problematiche di salute che mi rendono un soggetto a rischio, Ho passato l’intera quarantena e anche più in casa. Non potendo uscire, non potevamo vedere gli amici e mia moglie Lidia non poteva vedere sua figlia. È stato un periodo molto triste anche per la mia battaglia politica, essendo la presidente dell’associazione romana “Di’Gay project”, che si occupa dei diritti delle persone LGBT.

 Giugno è il mese del Pride e quest’anno non si è potuto svolgere! Inoltre la mia associazione, che nel suo piccolo organizza tanti eventi culturali, lezioni di yoga e di teatro gratuiti, si è fermata del tutto. Anche il mio docu-film L’altra altra metà del cielo. Donne, che racconta la realtà delle relazioni tra lesbiche,  non è stato possibile proiettarlo in nessun festival (sono riuscita a presentarlo alla Casa internazionale delle donne di Roma e al Festival del cinema LGBT di Napoli.

In ogni modo, nonostante tutto, abbiamo creato una situazione incredibile nel nostro condominio e in tutti quelli attorno nel quartiere Talenti di Roma dove abito. Abbiamo preso la questione “canto dai balconi “ seriamente e ogni pomeriggio, per tutta la quarantena, ci siamo trovati fuori dai terrazzi a cantare.

All’inizio della quarantena, partì l’iniziativa delle cantate e delle suonate dai balconi, i media la definirono flash mob, in quanto movimento spontaneo, convocato tramite i social in modo improvvisato a cui, soprattutto per i primi appuntamenti alle ore 18, furono dati significati diversi che andavano dal farsi coraggio reciprocamente all’esprimere solidarietà e vicinanza a chi veniva colpito dal virus o, ancora, a dimostrare apprezzamento e riconoscenza a chi si prodigava per gli altri nel far fronte all’emergenza sanitaria.

Però se si fosse trattato di un flash mob vero e proprio, avrebbe dovuto avere la caratteristica, non solo dell’improvvisazione sul nascere, ma anche quella della rapidità nello scomparire: la durata di un “flash” appunto. Nel nostro caso è nato come un flash mob, poi è evoluto diventando un appuntamento fisso che, pur mantenendo le motivazioni di partenza, sostegno e incoraggiamento nella solitudine dell’isolamento, partecipazione e affetto verso chi viveva quotidianamente faccia a faccia con una malattia tanto cattiva quanto subdola, in realtà si configurava come un esperimento di una nuova socialità.

A mia moglie Lidia e me, si è unito Mario, musicista (dell’appartamento sopra al mio) con la chitarra e l’impianto di amplificazione, la professoressa Sabrina con il violino, poi Marcella e Giuseppe, amici della mia associazione, di un palazzo di fronte, separati da una zona di verde, con loro un’infermiera Covid e Sara, che mi ha espresso la sua riconoscenza con parole toccanti.

C’era anche Anna (del piano sotto), Maria, del palazzo accanto, Franco e Viola, vicini di pianerottolo, Pia, Elisa di Torino, Doriana, avvocata, ecologista e attivista del III Municipio romano, Laura, con i suoi cagnolini che partecipavano al canto abbaiando, Palmira e Alessandro, che in occasione del compleanno di Lidia, ci hanno calato spumante e dolcetti dal balcone con una fune. Insieme a noi canterini c’era infine chi semplicemente si affacciava per ascoltare ed applaudire.

I nostri appuntamenti quotidiani hanno fatto crescere la nostra realtà di vicinato, l’amicizia che è sorta tra le nostre famiglie, comprendendo con questo termine tutte le tipologie sociali di convivenze: da quelle cosiddette “regolari”, a quelle di vedove, vedovi, single, a quella mia di famiglia lesbica, riconosciuta tale soltanto dal 2016, con la celebrazione dell’unione civile, ma di cui tutti sono a conoscenza e che tutti avevano accettato ancor prima che la legge delle unioni civili fosse approvata. Una “vicinanza”, quindi, che va oltre le differenze di credo religioso (ci sono cattolici, cristiani ortodossi, atei, agnostici, oppure io, che mi definisco “cristiana con ascendenza buddista”) o di simpatie politiche accomunate però dalla difesa dei principi di libertà e di democrazia, anche se non ci è mancata qualche contestazione al nostro riproporre “Bella ciao” come “sigla” delle nostre performances canore.

La prova che il flash mob dei canti dai balconi ha generato qualcosa di nuovo, che continua anche dopo la quarantena, sta nel fatto che le persone che hanno condiviso con me questa esperienza, hanno deciso di lasciare i balconi e di scendere per ritrovarsi negli spazi di socialità del quartiere, più motivati di prima, per condividere amicizia, solidarietà nell’accettazione delle differenze. Chissà, magari anche da questo punto di vista potremmo dire che “niente è più come prima”.

Non più tanti “flash” che illuminano per un attimo e poi scompaiono, ma un unico raggio di luce che rende più chiare le nostre esistenze personali e che, inevitabilmente, diventa un riferimento, un faro luminoso per tutto il vicinato.


Maria Laura Annibali

I racconti di Maria Laura

Il primo articolo giornalistico a firma di Maria Laura Annibali

Pubblicato sulla testata giornalistica online Power & Gender

Storia di amplificatori e chitarre elettriche

Roma 24 giugno 2020 – Il periodo che ci siamo lasciate alle spalle ha impedito in molti casi gli incontri ma ha favorito in altri casi la riflessione, i ricordi, la scrittura. È ciò che Maria Laura Annibali ci ha inviato, il racconto di un fatto poco conosciuto, legato alle chitarre. Ahh… se Jimy Hendrix sapesse! È stato uno dei maggiori inventori italiani Cesare Di Giuliomaria; vissuto nella prima metà del ‘900, attualmente un perfetto sconosciuto per molti, in realtà è stato un genio creativo nonché maestro orafo ed inventore.

«I più grandi musicisti, cantanti e chitarristi del nostro tempo, del calibro di Santana, B.B. King, Jimy Hendrix e altri ancora, hanno usato a dismisura con il proprio talento una delle sue invenzioni dimenticate: l’amplificatore elettrico per strumenti a corda, assegnata con tanto di documento ufficiale da parte del Ministero della Economia Nazionale in data 21 settembre 1931.

Di Giuliomaria fra l’altro, inventò anche la famosissima chitarra elettrica, infatti da bozze ritrovate nei suoi archivi si evince in maniera lampante che i primi passi almeno di tale invenzione furono di suo pugno e ingegno. E invece tale invenzione è stata assegnata ad un noto uomo d’affari americano.

Ma come sono andate le cose?

Cesare Di Giuliomaria nato a Roma, dove ha vissuto per molti anni era conosciuto come stimato orafo creatore di meravigliosi gioielli ambiti dalle migliori nobildonne della capitale, quindi godeva di uno status sociale da medio alto borghese, ma esprimeva il suo talento artistico e creativo anche come abile chitarrista, tantoché si esibì in vari concerti a teatro Argentina e al teatro Costanzo.

Aveva però un grande sogno: quello di aprire dei negozi di gioielleria negli Stati Uniti e precisamente a New York dove precedentemente emigrarono alcuni suoi cugini, ma come quasi ogni genio creativo, mancava del piglio affaristico e materiale necessario e veniva invece spesso sospinto dalla pulsione dei sentimenti.

L’ambizione di trasferirsi negli USA era anche determinata dal fatto che egli voleva vendere il brevetto della chitarra elettrica a qualche magnate americano che ne potesse dar così un frutto concreto e definitivo anche per poter finalmente vivere una vita che per lui potesse essere ancor più gloriosa e rispettabile di quanto già lo fosse.

Sia pur già sposato e con tre figli a carico, una volta capitata la prima occasione utile, in quanto ingaggiato dall’allora notissima cantante brasiliana Carmen Miranda che lo volle con sé in una tournée negli Stati Uniti come primo chitarrista, s’imbarcò alla ricerca della fortuna tanto bramata.

Prima di partire, pur di assicurarsi il benessere dei propri figli comunque già abbastanza grandi, si premunì di farli sposare e di dar loro un futuro assicurato lasciandogli in eredità anche i negozi di gioielleria che aveva aperto a Roma.

Partì così per l’America in tournée con la Miranda, portando con sé tutti i gioielli e l’oro di sua proprietà che aveva accumulato negli anni di lavoro nei suoi negozi.

Negli Stati Uniti, non si sa bene in quale città esattamente, conobbe una donna di cui si innamorò perdutamente e dalla quale ebbe un figlio da egli legalmente riconosciuto.

Ma nel tour delle Americhe dietro alla famosa cantante brasiliana, contrasse – sembra proprio in Brasile – una malattia tropicale: la malaria.

Quindi sia pur unito ad una donna tanto amata e ad un figlio adorato, ormai stanco e stremato dalla malattia che gli corrose anche il fegato portandolo ad avere l’epatite virale, Di Giuliomaria si fece letteralmente depredare dei preziosi gioielli e dell’oro che aveva portato con sé senza per altro riuscire a realizzare il sogno di aprire le gioiellerie a New York.

Nel frattempo, passarono dieci lunghi anni in terra straniera, quando scoppiò la seconda guerra mondiale e il geniale inventore creativo, professandosi italiano con volontà di rientrare in patria, riuscì in qualche modo ad avere il nulla osta degli Stati Uniti per rientrare nella sua terra natìa.

Sembra che al momento di doversi imbarcare, il geniale inventore, non possedesse nemmeno un centesimo e sia pur chiedendo aiuto ai cugini di New York, non riuscì ad ottenere la somma necessaria per pagarsi il viaggio. A quel punto, si suppone che sopravvenne lo scippo del brevetto della chitarra elettrica da parte dell’affarista americano, il quale con ogni probabilità pagò a Di Giuliomaria pochi dollari per poterne entrare in possesso. Soldi che al genio italiano occorrevano per imbarcarsi sulla nave.

Tornato in Italia, visti i suoi trascorsi negli Stati Uniti, la moglie non volle più saperne di lui e decise di disconoscerlo completamente a vita, disdegnandolo anche dopo la morte.

Così, impoverito, stanco, malato ed affamato, trovò rifugio presso casa di uno dei suoi figli che lo accolse con molte remore e non senza fargli pesare la condizione.

Sia probabilmente a causa della malattia che per le privazioni che dovette subire e i talenti del suo genio mai riconosciuti, il dimenticato inventore italiano divenne estremamente egocentrico ed egoista e tacciato come un mezzo farabutto nonché allontanato da amici e conoscenti.

Visse così negli ultimi anni della sua esistenza da narciso egocentrico e come tale morì nel 1944 a causa della epatite virale e pare anche per causa di una indigestione poiché acquistò una scatola di contrabbando piena di cibo e prelibatezze e la ingurgitò tutta da solo chiuso nella propria camera da letto.

Al di là del personaggio che traspare dai racconti degli odierni posteri, di Cesare Di Giuliomaria, non si può non tener conto di tutte le implicazioni emozionali e pratiche dell’epoca in cui era vissuto, nonché delle carenze affettive, famigliari e alimentari che egli dovette patire specie quando visse negli Stati Uniti gli ultimi tempi.

Non si può nemmeno però dimenticare la frustrazione e il profondo dolore coscienziale, psicologico ed emotivo che il geniale inventore portò dento di sé per tutta la vita a causa di invenzioni avanguardistiche e superiori alla norma del suo tempo che non gli furono mai riconosciute né economicamente e né socialmente. Tanto è vero che il suo brevetto di chitarra elettrica pare si stato estorto proprio dall’affarista americano – probabilmente lo stesso personaggio al quale fu attribuita l’invenzione – per una manciata di spiccioli che gli occorrevano per tornare in Italia con la nave.

Diviene ovvio il comportamento della persona che subisce dei traumi di questo tipo e la quale cerca di esorcizzarli attraverso una specie strano di amor proprio molto malsano.

Morì così, dimenticato e a tratti disdegnato da tutti, un genio eccezionale del ‘900 italiano al quale non solo non vennero attribuiti tutti i meriti dovuti, ma vennero anche scippate le ricchezze da persone senza scrupoli e al quale venne strappata di mano per una misera mancia, l’invenzione musicale del secolo. Restando attribuita solo l’invenzione dell’amplificatore elettrico di cui però non vi è traccia negli annali di internet odierno.»

A cura di
Maria Laura Annibali
con la partecipazione di
Carla Liberatore

Melissa Ianniello con Maria Laura e Lidia – Premi internazionali di fotografia

Tra i 50 selezionati per l’Helsinki Photo Festival 2020 e 2° posto al 10th Annual International Photography Competition de The Florida Museum of Photographic Arts

Con questa foto di Maria Laura e Lidia, Melissa Ianniello è tra i 50 artisti vincitori della selezione per l’Helsinki Photo Festival 2020. Il tema: Trust.

Bronze Winner al Moscow International Foto Awards 2020; precedentemente si è aggiudicata il secondo posto nella categoria Documentation/Photojournalism del 10th Annual International Photography Competition organizzata dal FMoPA – The Florida Museum of Photographic Arts che ha sede a Tampa in Florida (USA).

La descrizione dell’immagine e il curriculum dell’artista dal FMoPA (trad. dall’inglese):

Melissa, Maria Laura e Lidia al SI Fest di Savignano sul Rubicone (14 settembre 2019)

Maria Laura e Lidia si conoscono da 17 anni. Il loro amore è sbocciato in età matura, ma ha colpito come un classico “colpo di fulmine”. Fu Lidia a conquistare Maria Laura: oltre a un incessante corteggiamento pieno di dolci cose e poesie, una sera scrisse una dedica a Laura sul muro di casa sua: “Laura, sono appassionatamente e disperatamente innamorata di te ”. Da quel giorno hanno iniziato a frequentarsi e subito dopo sono diventate una coppia ufficiale. Di recente si sono sposate in un’unione civile.

Melissa Ianniello (Napoli, 1991) è una fotografa documentarista che vive a Bologna. Dopo essersi laureata in Filosofia, ha proseguito la sua formazione fotografica, in gran parte autodidatta, attraverso periodi di studio a Bologna e New York, con fotografi come Michael Ackerman, Carolyn Drake, Erica McDonald e Davide Monteleone. La sua ricerca artistica si basa su due argomenti principali: il ruolo dell’individuo nella metropoli moderna e temi legati al genere e alla sessualità. È stata selezionata due volte (2014, 2017) come una delle vincitrici del concorso annuale Call For Artist nell’ambito del festival internazionale Cheap – Street Poster Art. Nel 2018, ha iniziato il suo progetto a lungo termine intitolato Wish it was a coming out. Con questo progetto, ha vinto il “Premio SI FEST Lanfranco Colombo” ed è stata selezionata come finalista per il “Premio Marco Pesaresi“, il “Premio Voglino“, nonché per il “Gran Premio Lumix Portfolio Italia“. Nel 2020, ha vinto la prima edizione della “Biennale della Fotografia Femminile” ed è stata selezionata come finalista per il “Italy Photo Award.

La notizia rilanciata dal portale di informazione LGBT Gay.it.

Articolo di Federico Boni

Maria Laura e Lidia, la foto del loro amore firmata Melissa Ianniello premiata in Florida

Maria Laura Annibali, 75 anni, e Lidia, 72 anni, fanno coppia da 17 anni. La loro storia d’amore immortalata da Melissa Ianniello è arrivata 2a ad un evento fotografico USA.

LGBTQI al tempo della pandemia

Maria Laura intervistata da Altrestorie.it

Altrestorie ha deciso di raccontare come sta vivendo la pandemia di coronavirus la nostra comunità Lgbtqi. Tanti volti, esperienze e riflessioni di attiviste/i, persone impegnate nel sociale, in politica, nelle lotte, nel web, artiste/i, e di tutta la splendida e variegata moltitudine che con le sue diversità da sempre anima la nostra comunità.

Annibali, temo che le nostre lotte non saranno più priorità

By AltreStorie |

Per la presidente di Di’GayProject superare la cirsi economica richiederà uno sforzo unitario ed eccezionale, e ottenere leggi e diritti sarà più difficile

Abbiamo ascoltato Maria Laura Annibali, presidente dell’associazione romana Di’Gay Project che, dall’alto dei suoi 76 anni, non si lascia fermare neppure dalla panedemia e continua a guardare con speranza e progettualità al futuro.

Che impatto ha avuto l’emergenza coronavirus sulla vita e le attività associative di DìGayProject? Come state reagendo?

Purtroppo abbiamo sospeso tutti gli eventi che erano in programma. Un grande peccato, perchè erano multiformi, variegati e avevano già avuto successo nelle precedenti edizioni. Stiamo reagendo nella maniera migliore possibile, lavorando da casa, per la realizzazione dei prossimi progetti, di cui saremo protagonisti insieme ad altre associazioni in campo europeo.

Maria Laura Annibali, romana, pensionata, classe 1944. “Solo” nel 2000 decide di fare coming out accrescendo progressivamente il suo impegno e la sua visibilità fino a divenire presidente dell’associazione Di’Gay Project nel 2014.
Artista, e filmmaker è nota soprattutto per i documentari sul mondo lesbico e femminista “L’altra altra metà del cielo” (2009) che ha partecipato a diversi festival a tematica, come pure “L’altra altra metà del cielo… continua” (2012) e il recentissimo “L’altra altra metà del cielo. Donne” (2019).

Come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati il tuo lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?
Maria Laura Annibali (a sinistra) e la moglie Lidia Merlo ad una manifestazione

Personalmente con soddisfazione. Sono riuscita a creare un gruppo di canterini e non ci siamo fermati ai sette giorni di canzoni sul terrazzo di casa, come consigliati dalla Sindaca di Roma. Li abbia anzi intensificati a due incontri al giorno. Il nostro gruppo musicale è composto da un cantautore in pensione con attrezzature sonore, persone di condomini diversi, di età diverse, di nazionalità diverse, di religioni diverse e di generi diversi. La maggior parte sono etero ma l’intero complesso è capeggiato da due ultra settantenni, anche loro in pensione, dichiaratamente lesbiche, una addirittura presidente di una associazione Lgbtqi, documentarista, scrittrice… Ma non sono il tipo di persona che può limitarsi solo a cantare. Ho preso accordi con due diversi editori per pubblicare due libri diversi e ho collaborato a un articolo su Roma Sera. Assieme a un “nostro” regista sto collaborando a una sceneggiatura, ho scritto interamente un altro articolo. Ma non voglio dimentire il progetto che ho più a cuore: con Anna Paolucci, stiamo scrivendo il romanzo della mia vita!

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?

Sinceramente sogno di tornare a Piazza delle Cinque Lune a manifestare ancora sotto al Senato per la legge contro l’omotransfobia e la legge sulle adozioni. Credo che si debba ripartire così.

Dopo quel che sta succedendo in Italia e nel mondo come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?
Maria Laura Annibali alla Casa Internazionale delle Donne, Roma

C’è chi dice che nulla sarà come prima. Trovo questa affermazione troppo estrema. Certo, questa esperienza per noi “grandi” è stata stravolgente. Non avrei mai pensato di poter resistere tutto il tempo già trascorso e inevitabilmente quello che dovrà ancora trascorrere nelle 4 mura di casa. Io, che neanche i terremoti mi trovavano nella mia “tana”, mi sto rassegnando e debbo dire senza sconforto. Per sopravvivere penso che l’Italia e l’Europa debbano fare un vero salto di qualità. Questo “mostro” in qualche modo ha unito tutto il Mondo nella sofferenza, con la catastrofica conseguenza di posti di lavoro perduti, come i risparmi di tanti piccoli, onesti cittadini. Con l’aiuto di governi illuminati i giovani dovranno rimboccarsi  veramente le maniche, i pantaloni e qualunque altro indumento, per poter far risorgere l’economia disastrata. Questa è la vera sfida dei prossimi anni, con la personale convinzione che insieme ce la possono fare.

Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

Di questo sono molto preoccupata. In una società dove dovremo lottare per provvedere alle necessità primarie delle famiglie, ci potrebbe essere poco spazio per il proseguimento del cammino sui diritti civili e la liberazione sessuale. Normalmente non sono una pessimista, ma vedo difficile che i nostri governanti, che dovranno inventarsi la “qualunque” per impedire straordinari movimenti di piazza, per il diritto al lavoro e alla casa, possano avere la voglia e il coraggio di interessarsi a risoluzioni di giustizia umana e sociale. Già in situazione di “normalità” ci sono voluti ben 20 anni per un’incompleta legge sulle unioni civili perché ci dicevano che le priorità erano sempre altre. Temo che non potendo andare avanti, si rischi, in un Mondo impoverito e bisognoso di pane e companatico, che qualche infame governante possa addirittura indire dei referendum per abrogare il frutto di una lotta lunga e sofferta.

Resistere al tempo del coronavirus

Maria Laura ha trasformato un evento temporaneo in un presidio umano permanente.

Su PaeseRoma.it il 5 aprile 2020

Maria Laura Annibali con la moglie Lidia Merlo

Roma, quartiere Talenti, la quarantena causata dal coronavirus è iniziata con una settimana di flash mob dai balconi di tutta la città, oggi a distanza di più di venti giorni c’è ancora qualcuno che fa del flash mob un appuntamento quotidiano e irrinunciabile.

Maria Laura Annibali, 75 anni, presidente Di’ Gay Project: «Da quando sono in quarantena, insieme a condomini e amici e sconosciuti, ci ritroviamo,sui balconi, nonostante ampie distanze, due volte al giorno una alle ore 12:00, per fare quattro chiacchiere, e una alle 17,30 per cantare motivi vari compreso delle mini cover inventate da mia moglie e dalla sottoscritta».

Maria Laura Annibali sul balcone di casa

Grazie agli impianti acustici, come riferito da Maria Laura, riescono a coinvolgere palazzi anche lontani dal loro, creando una nuova forma di quotidianità, non solo con le persone già amiche e ben conosciute, ma anche con gente che prima conoscevano solo di vista o non conoscevano affatto, abbattendo ogni ostacolo legato alla diversità comunemente presente nella quartiere, quale ricco-povero, bianco-nero, etero-gay, giovane-anziano, cristiano-ebreo…

Nel Municipio III di Roma il flash mob di Laura ha suscitato interesse: