Maria Laura ANNIBALI Interviste,Maria Laura e Lidia sulla stampa e sul web Il Month Pride e la campagna della celebre griffe H&M

Il Month Pride e la campagna della celebre griffe H&M

di Giovanna Albi

Su: Periodico italiano magazine http://www.periodicoitalianomagazine.it

Il mese del Pride, che continuerà per tutta l’estate 2021 fino a settembre, si svolge anche on line per dare maggiore visibilità alle battaglie del movimento Lgbt, iniziate 50 anni fa. Alcuni appuntamenti ci sono già stati, nel rispetto delle misure di contenimento anti-Covid, a Bergamo, Liguria e Lecco. Altri sono in programma per oggi, 26 giugno 2021, nelle Marche, a L’Aquila, a Milano, a Roma, a Faenza e Martina Franca (Ta); il 3 luglio a Napoli e Verona; il 21 agosto a Brindisi e nel Salento, in Puglia; il 4 settembre a Catania e Gorizia. Prima della pandemia si sono tenuti cinquanta eventi in Italia, con oltre un milione di partecipanti. Quest’anno, l’affluenza è di gran lunga ridotta. Per esempio, a Milano c’erano poche migliaia di persone; nel 2019 erano 150 mila. Ma la diffusione delle manifestazioni sta avvenendo anche in rete, per dare maggior voce a questa ‘Onda Pride’, che si batte per il riconoscimento di tutte le identità, contro omofobia e discriminazione: temi molto sentiti, anche per la discussione in corso sul ddl Zan.
Molte sono le campagne pubblicitarie a sostegno dell’Onda Pride anche nel mondo dei libri, ma non solo: tra tutte, si distingue quella promossa dalla celebre griffe H&M, azienda di abbigliamento fondata in Svezia nel 1947, con sede a Stoccolm

Maria_Laura_e_Lidia.jpg

a.
Il gruppo conta 52 mercati on line, 5 mila negozi in 74 mercati, con un numero di dipendenti di circa 153 mila persone. Quest’anno presenta ‘Beyond the Raimbow’: una campagna interattiva a sostegno del Pride e della comunità Lgbtqia, incoraggiando le persone a condividere le loro esperienze e il percorso che le ha condotte a riconoscere la propria identità.
A rappresentare l’Italia ci sono Maria Laura Annibali, presidente del ‘Di’ Gay Project’, associazione fondata da Imma Battaglia con sede a Roma e sua moglie, Lidia Merlo. Lei due donne, ultrasettantenni, unite civilmente da quattro anni, hanno raccontato in un video il percorso accidentato e anche doloroso che le ha portate al ‘coming out’ dopo un matrimonio di 35 anni (Lidia) e una relazione lunga e nascosta con una donna (Maria Laura). Quest’ultima definisce la sua identità precedente al coming out “velata”: si nascondeva, infatti, dietro una relazione di fantasia con un importante professionista di Roma, essendo vittima di omofobia interiorizzata. Oggi, finalmente libere di essere autentiche, spassosamente raccontano il loro primo bacio e invitano i giovani a non ripetere il loro percorso, ma a fare subito ‘coming out’. Celebriamo pertanto anche noi il ‘Month Pride’, perché il ‘Di’ Gay Project’ di Roma promuove percorsi di autocoscienza e incontri letterari con filosofi di spessore.

Sotto uno stesso cielo

di Antonella Giordano

su: International web Post https://internationalwebpost.org

Uno sguardo profondo, reso ancora più penetrante dagli occhi bistrati, illumina il viso raggiante. Il sorriso a completamento dell’insieme esprime, al di là di mille parole, la felicità di chi è inaspettatamente ad un traguardo tanto inseguito e altrettanto desiderato.

Una felicità raggiunta a prezzo di anni di lotte affrontate senza protagonismi accanto a persone anonime, sfidando pregiudizi e ostilità con il coraggio e la perseveranza che posseggono solamente quelli che hanno grande fede in Dio e/o la tempra che anima i Giusti

Si dice che la determinazione trova, primo o poi, il suo ristoro e Maria Laura Annibali, romana classe 1944, può ritenersi oggi ripagata per gli sforzi profusi.

Estrazione medio borghese, laurea in scienze politiche e incarico professionale direttivo in un ministero possono essere requisiti inutili se non addirittura deterrenti se i tempi non sono maturi e non lo è nemmeno la società che dei tempi è l’immagine (e ciò anche se trattasi della Capitale d’Italia).

Ma Maria Laura non si è mai arresa dinnanzi agli ostacoli e così lei e sua moglie Lidia Merlo lo scorso 21 giugno sono state elette dal colosso svedese della moda H&M come testimonials nel mondo. Sono l’immagine dell’Italia protagonista di Beyond the Rainbow a sostegno della comunità LGBTQI+, la campagna pubblicitaria globale interattiva – caratterizzata anche da un’applicazione per smartphone – promossa per condividere e sostenere i valori fondamentali di diversità, uguaglianza e trasparenza. I valori in cui si radica lo stadio di civiltà dell’umanità autentica.

La Annibali viene definita come attivista (lei preferisce qualificarsi volontaria) nell’ambito di una causa in cui l’identificativo presta il fianco a rivoli di sottotitoli, in dose più o meno variabile, suscettibile di formare argomento facile per approcci superficiali, vacue strumentalizzazioni ideologiche o parateatrali, varia imbecillità argomentativa.

Quando non si è obbligati ad indossare divise o cavalcare cavalli bardati l’affermazione della Conoscenza richiede grande impegno a beneficio della verità dei fatti e, se occorre, del compendio del pensiero. Formulo questa considerazione in un momento in cui è acceso il dibattito politico sull’iter legislativo del Ddl recante Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità (noto come “legge Zan”) e il tema dibattuto della diversità si arricchisce di ulteriori sfaccettature, additivi di cui forse non tutti erano compiutamente a conoscenza prima di adesso.

Il linguaggio della comunicazione straripa di lemmi/specificazioni nostrane ( identità di genere, ruolo di genere, orientamento sessuale, eterosessualità o eterosessismo, disforia di genere, omofobia, omonegatività, transessualismo, intersessualità., travestiti) e anglosassoni (pride, coming out, outing, queer, transgender). Non ne spiego il significato per lasciare libero ciascuno di corroborare il proprio patrimonio conoscitivo con la copiosità del glossario. Mi limito, per dovere d’informazione, a dire che nella gamma semantica straordinariamente variegata domina omo-trans-fobia e LGBT(acronimo anglosassone coniato per indicare persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender), a volte si declina come LGBTIQ per comprendere anche le persone che vivono una condizione intersessuale.

Guardare all’altro per indicizzarne e stigmatizzarne la diversità è tipico di una società fragile, priva di solide basi culturali allo stato diffuso e, dunque, duttile e straordinariamente malleabile alla stregua dell’ infinita lotta che in altre epoche ha animato la caccia alle streghe. Il diverso da sé è il bersaglio da annientare o il bersaglio da deridere. La Storia ci racconta che è accaduto e, purtroppo anche in tempi non molto lontani da oggi. Perché? Escludendo (e solo per ragioni di spazio espositivo) le derive della personalità che fanno grandi gli eroi del crimine e la massa esponenziale dei di loro emulatori tra le risposte collettive più conferenti faccio mia quella più diffusa: ignoranza (da giurista trovo che, allo stato, possieda anche un potenziale multitasking).

Assumerne consapevolezza sarebbe una conquista civiltà. La nostra società, purtroppo, difetta di formazione valoriale ed eccede in stereotipi, che finiscono per essere spesso le clave da utilizzare unicamente per delegittimare. La nostra società oggi sfugge al confronto perché carente, in troppi ambiti, del clone della Conoscenza perché scuola e cultura pencolano nella crisi pandemica di adeguare i propri kairos ad un sistema sociale multiidentitario .

Io non vorrei più vedere soffrire nessuno. A mio avviso la società, oggi, a differenza della politica, è più pronta e propensa ad ascoltare e ad apprezzare la diversità rispetto al passato. A non essere ancora pronti e predisposti sono i genitori. C’è bisogno di formazione nelle scuole, nei posti di lavoro. C’è necessità di aiutare le persone a capire, a prepararle, dare loro gli strumenti per imparare ad accettare e accogliere i percorsi e le scelte personali dei figli, e in generale dell’altro. C’è bisogno di raccontare, di parlare (ha dichiarato Maria Laura Annibali a Laura Scafati per Vanity Fair lo scorso 21 giugno).

Ho voluto incontrarla al Teatro di Documenti (interessante realtà presente a Roma, nel quartiere Testaccio) e assistere alla proiezione del suo docufilm L’altra altra metà del cielo. Donne (per la regia di Filippo Soldi).

La visione è stata motivo per conoscere un universo di situazioni umane, tutte caratterizzate da un cammino di difficoltà, ciascuna resa dolorosa dall’incomprensione e dall’ostracismo sociale. Vite ancora in cammino verso orizzonti di inclusione lontani a realizzarsi compiutamente.

La sofferenza, che sia di se stessi o degli altri, diventa un valore nel momento in cui costringe a riflettere, quando consente di abbattere i preconcetti, i muri mentali che impediscono di vedere al di là di se stessi, del nostro piccolo mondo. Troppo spesso si esprimono giudizi superficiali su realtà che non si conoscono e, quando poi si incontra la sofferenza, queste certezze vacillano. Le umiliazioni sofferte dalle donne protagoniste del film sono servite ad abbattere qualche muretto; nel panorama generale popolato da tante vite immobili le loro vite sono valori.

In esergo una riflessione. Mi sono imbattuta, come tanti, in altre metà del cielo a loro volta frazionabili in altre ancora e in vari soli. Voglio guardare al cielo come a uno spazio unico dove tutti vedono una stessa luna e uno stesso sole. Dove la luce illumina tutti allo stesso modo.

Prospettiva utopistica o insulsa? Forse l’una e l’altra cosa ma è ciò che penso.

Related Post