di MICAELA CLEMENTE
sul sito di informazioni ilSudEst.it
ripreso anche sul sito Ristretti Orizzonti (ristretti.org)

L’Associazione DiGay Project (Dgp) per la prima volta in un carcere maschile con il documentario realizzato dalla presidente Maria Laura Annibali, con la regia di Salima Balzerani. “L’altra altra metà del cielo“, in cui l’autrice intervista se stessa e altre donne omosessuali.

La proiezione, unica nel suo genere, nasce grazie al lavoro pregresso e presente di molte persone: la direttrice del Dipartimento dell’ormai scomparso Ministero per le Pari opportunità, la consigliera Patrizia De Rose, il direttore generale del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap) Giovanni Tamburino e il garante dei detenuti del Lazio, l’avvocato Angiolo Marroni – firmatari nel 2012 di uno specifico protocollo d’intesa per la prevenzione e il contrasto della violenza e discriminazione nei confronti delle persone lgbt in regime di detenzione.

Locandina_Rebibbia_9 maggio

Alla proiezione sono intervenuti la presidente Dgp e autrice del docufilm Maria Laura Annibali, Imma Battaglia, consigliera Sel di Roma Capitale, Antonella Montano, psicoterapeuta, direttrice Istituto T. Beck, ed Edda Billi, presidente onoraria Associazione Federativa Femminista Internazionale.

Sono già due gli incontri che ho fatto nella sezione femminile del carcere di Rebibbia, rispettivamente il 7 novembre ed il 3 dicembre 2013 – dichiara l’autrice, Maria Laura Annibali – e portare questo documentario in una casa circondariale è per me un successo: ma farlo per la prima volta in un carcere maschile è un piccolo atto di coraggio. Indica che un percorso importante è stato avviato, grazie al lavoro di associazioni come la nostra e grazie soprattutto alla sensibilità delle tante figure che hanno sostenuto e permesso questa iniziativa. Da persona profondamente cristiana e da attivista volontaria per i diritti, voglio essere vicina a chi soffre col mio umile contributo di documentarista lgbt. Questa, unita alle precedenti occasioni, è certamente una delle più belle esperienze umane della mia vita, che mi commuove e allarga il cuore, seguendo quel filo sottile – come direbbe Edda Billi – che separa le nostre fragili libertà da quelle infrante dei detenuti. Perché parlare di lesbismo in un carcere maschile? Per restituire a questi uomini l’immagine della realtà di un mondo – il nostro – spesso sconosciuto anche fuori dal carcere e per questo carico di pregiudizi, che noi con queste iniziative vogliamo contribuire a dissipare, con l’auspicio, nel tempo, di riuscire a costruire una realtà più inclusiva rispetto a tutte le forme in cui possono declinarsi l’identità e la diversità“.